Editoriale. Giochi di Parigi, il risultato è l'impegno
«Fa quel che può. Quel che non può non fa»: con sprezzo del pericolo il maestro Alberto Manzi – prima di diventare popolare conduttore di Non è mai troppo tardi trasmissione che nell’era pionieristica della Rai affrancò dall’analfabetismo più di un milione di italiani – ebbe la bizzarra idea di attribuire a tutti i suoi scolaretti questo stesso giudizio. La motivazione che diede, cosicché se la cavò solo con una sospensione, è che i ragazzi crescono, possono migliorare e un giudizio negativo potrebbe mal disporre l’insegnante dell’anno successivo. Una provocatoria genialità, che anticipava un po’ lo spirito del priore di Barbiana, don Lorenzo Milani: compito della scuola – come dello sport – non è solo produrre eccellenze, ma anche aiutare tutti gli altri a dare il massimo, vincendo ognuno la piccola/grande competizione con sé stessi, con i propri limiti, per fare meglio, semmai, l’anno successivo.
Una lezione che vale anche per le Olimpiadi appena concluse. Quaranta italiani sul podio a Parigi, non male. Ma al Quirinale ci andranno per la prima volta anche le “medaglie di legno”, i quarti classificati, i diversamente vincitori, i primi fra quelli che non ce l’hanno fatta, in qualche modo tutti da loro rappresentati. Sono stati 25, stavolta, mai così tanti, ma a squarciare il velo del silenzio che circonda, in genere, chi non ce la fa, è il rumore suscitato dall’affermazione a caldo della nuotatrice diciannovenne Benedetta Pilato che ha mancato il podio nei 100 rana per un solo centesimo e ha avuto l’“ardire” di affermare ai microfoni Rai, a caldo, fra le lacrime, che era il« giorno più bello» della sua vita.
Perplessa la giornalista di Raisport che le porgeva il microfono, addirittura indignata, da studio, l’olimpionica di scherma Elisa Di Francisca, a dubitare persino della sua sanità mentale. Si è poi scusata, ma ci ha messo dell’altro intervenendo anche sulla presunta inadeguatezza emotiva della schermitrice Arianna Errigo.
Inutile in questi casi tirare in ballo il barone de Coubertin, che pure era un attrezzato pedagogista ma nella vulgata corrente passa ormai, con il suo celebre motto, come il consolatore dei perdenti. Ci ha pensato allora un vincente assoluto come Julio Velasco a far cambiare verso alla battaglia mediatica scatenatasi sui social. Le parole dell’allenatore delle azzurre del volley sulla necessità di non caricarle di eccessi di responsabilità, perché «importante è riuscire a dare il massimo, che i nervi non ci tradiscano» e «l’oro olimpico arriverà quando arriverà» sono state il più bel viatico all’oro che poi è arrivato davvero. Lo sport non ha bisogno di essere “cattivo” e “ossessionato” dalla vittoria per vincere, convincere e divertire. Non solo. Quando Velasco aggiunge che «In Italia c’è una filosofia di vita che non va bene, si vede sempre quello che manca e l’erba del vicino è sempre più verde», si capisce che il discorso che fa è più ampio, rivolto a tutti. Parole che hanno lasciato il segno in un dibattito che è diventato sempre più “muscolare” dalla politica ai social. E, agli occhi di Mattarella, nulla più di una “sana” impresa sportiva come questa è in grado di parlare a tutti, segnando un’inversione di tendenza possibile: si può vincere nel rispetto e senza fanatismo, e questo vale per la politica come per lo sport, come per la vita di tutti i giorni, in un Paese che fa fatica a ritrovare la concordia e il gusto per la sana competizione.
L’ottantatreenne capo dello Stato che alla cerimonia inaugurale, a Parigi, non ha battuto ciglio per l’acquazzone che l’ha colto di sorpresa e sarà di nuovo presente, mercoledì 28 ai Champs-Elisées per la cerimonia inaugurale delle Paralimpiadi, con i quarti e le quarte invitate alla festa sul Colle lancia allora un messaggio chiaro: lo sport, e non solo lo sport, è di tutti e per tutti. E chi non vince, nello sport come nella vita, se mantiene le motivazioni, può riprovarci. Anche perché: che cosa sappiamo noi delle sofferenze da cui viene una diciannovenne che è riuscita a rialzarsi, arrivando a un solo centesimo dal podio?