Opinioni

La guerra, l’escalation, l’Italia. Già dura da troppo

Andrea Lavazza mercoledì 27 aprile 2011
Non si tira mai (o almeno non si dovrebbe) il grilletto a cuor leggero. Per questo occorre valutare con la massima prudenza quando l’uso della forza può risultare necessario. Anche se a volte un’eccessiva esitazione può costare la vita a un innocente sotto minaccia mortale. Il caso della Libia ci ha messo con spietata immediatezza davanti a questo dilemma, morale oltre che politico. È giustificato l’intervento armato "umanitario"? L’Italia, che l’aveva pienamente avallato in sede Onu, ora ha rotto gli ultimi indugi, con la decisione di partecipare attivamente ai raid mirati contro le forze armate di Gheddafi che prendono di mira i civili in rivolta.Ha probabilmente ragione chi dice che dal punto di vista morale non ha più legittimazione, né era più urgente, un attacco al rais di Tripoli di uno, che nessuno prende in considerazione, al rais di Damasco (vista la sanguinosa repressione in corso nella Siria di Assad). Solo per fare un esempio tra i molti regimi che schiacciano ogni dissenso. Si devono però sommare i fattori politici. Il Colonnello è un dittatore di lungo corso la cui defenestrazione non turberebbe equilibri regionali e potrebbe anzi influire positivamente su di essi.Posta sotto l’ombrello legale delle Nazioni Unite e passata ai comandi della Nato, l’operazione Unified Protector potrebbe anche configurare una sorta di dovere per l’Italia, legata come essa è alla lealtà occidentale e sensibile alla tutela delle popolazioni oppresse e della pace da costruire (come testimoniano le molte missioni militari e civili all’estero compiute con coraggio, dedizione e spirito di servizio). E tuttavia il disagio e la preoccupazione per l’escalation in Libia hanno pieno fondamento. Non sembra, infatti, che gli spazi (ormai residuali) per una soluzione diplomatica della crisi siano stati esplorati con convizione. E non per caso se, sinora, il nostro ruolo di ex potenza coloniale e un trattato di non aggressione con Tripoli avevano prudentemente indotto a una partecipazione "limitata". Le pressioni degli alleati, bisognosi di altri mezzi operativi per fiaccare le resistenze del "nemico", e il quadro politico internazionale (non escluse le tensioni con Parigi sull’emigrazione) hanno invece convinto a fare un passo deciso – «naturale», per usare l’espressione del presidente Napolitano – sulla via del pieno coinvolgimento nelle azioni belliche, superando quella che poteva essere considerata una posizione ambigua.Comprensibili le rassicurazioni che il governo ha voluto dare: solo obiettivi strettamente militari, missili di precisione, estrema cura nell’evitare il coinvolgimento di civili. È evidente, però, che gli attacchi dal cielo saranno indicati dai vertici dell’Alleanza atlantica e che tragici "errori", anche per la malizia di chi nasconde i potenziali bersagli tra le case e gli edifici pubblici, saranno ben possibili. Tra molte esitazioni e non pochi dissensi, anche nella stessa maggioranza, ci avviamo dunque a una campagna il cui sbocco non s’intravede chiaramente.I raid servono a proteggere una parte della popolazione libica? A questo punto, con la spaccatura accentuata di quel Paese, probabilmente sì. Se Gheddafi avesse ora mano libera, scatenerebbe maggiormente le forze sui rivoltosi e imporrebbe una normalizzazione ancora più vendicativa e sanguinosa. Ma i raid saranno risolutivi? Si deve onestamente dire che non lo sappiamo. Sappiamo solo che avranno un costo umano, perché le vittime in divisa sono comunque vite perse, e politico, perché con il rais non potremo più scendere a patti. Gli spettri di un pantano bellico in riva al Mediterraneo, della divisione della Libia, di un esodo verso l’Europa, di una stretta sull’energia aleggiano insomma minacciosi.Ciò che ci si può augurare è che una guerra durata già troppo finisca presto, prestissimo. Ciò che si deve auspicare – e noi torniamo a farlo con la stessa chiarezza delle scorse settimane – è che all’interventismo europeo in Nord Africa corrisponda una adeguata risposta di accoglienza verso coloro che da quel fronte fuggono. Ogni chiusura a profughi e migranti sarebbe ora tanto più oltraggiosa e incoerente.