Le ferite aperte di Napoli. Ghetti e «stese»: è qui l'urgenza sicurezza
Forcella è un quartiere della vecchia Napoli a ridosso di via Duomo, la strada sulla quale si affaccia la cattedrale. Una zona da sempre sotto osservazione per la forte presenza di clan della camorra. A Forcella, solo negli ultimi anni, sono stati uccisi – innocenti – Annalisa Durante, una ragazza di 14 anni, e Maikol Russo, giovane papà che di anni ne aveva 25. È una zona senza pace, anche quand’è festa, com’è accaduto ancora di recente: poche ore dopo l’avvenuto prodigio del sangue di san Gennaro, Forcella infatti è stata ancora una volta teatro di una stesa. Stesa, voce del verbo stendere. Stendere cioè uccidere. La stesa è qualcosa di inspiegabile in un Paese civile. Una, due o più motociclette, montate da giovani armati di pistole, arrivano alla velocità del lampo per uccidere qualcuno. In pieno giorno, incuranti della gente che affolla le strade. Giunti a destinazione iniziano a sparare.
Nel giro di pochi secondi il panico si diffonde nel quartiere. La gente capisce, grida, piange, tenta di scappare. Si ripara dietro le auto in sosta o i bidoni dell’immondizia. Le mamme, pazze di terrore, chiamano i figli che giocano per strada. A Forcella, pochi giorni fa, ancora una volta, stava per scapparci il morto: un ragazzo di 13 anni all’interno di una sala scommesse (dove non avrebbe dovuto essere) è rimasto ferito a uno zigomo. Doppio miracolo di san Gennaro, dunque? Non vogliamo in alcun modo scomodare la fede per tamponare le falle di cui è responsabile la società civile. Forcella assurge a icona di tutti i quartieri della vecchia Napoli lasciati a se stessi. E di quegli altri, enormi, brutti, quartieri cosidetti 'a rischio' di cui sono state disseminate le periferie di tante città italiane negli ultimi decenni. Autentiche zone franche dove lo Stato ha deciso di abdicare. Quartieri che si trasformano in ghetti dai quali la gente onesta, appena può, scappa via. E chi non può permettersi il lusso di trasferirsi altrove? Come continuerà a vivere? La domanda alla quale dovrebbero rispondere seriamente la politica locale, regionale, nazionale, le forze dell’ordine, è questa. La vera emergenza sicurezza è questa.
Qualsiasi persona onesta abbia la necessità di rimanere in questi luoghi deve imparare a fingere. Vivere alla giornata. Affidarsi alla fortuna. Diventare scaltro come i serpenti. Mettere in conto di farsi, in qualche modo, connivente. In caso contrario sarà l’inferno. Ecco il ghetto, una zona in cui vige una sorta di sospensione del diritto, dove le leggi del Paese a tutela dei cittadini non valgono. Dove i diritti di una moltitudine, offesa e umiliata, vengono calpestati e derisi dalla prepotenza del malavitoso di turno. Sotto gli occhi di tutti, autorità comprese. Il camorrista deve ostentare la sua ricchezza, il potere, la finta pietà. Tanti particolari stanno a dire che in quel piccolo pezzo di mondo comanda lui e solo lui. In caso contrario è la guerra. Si inizia con l’impossessarsi di spazi comunali e demaniali, un marciapiede, un’aiuola, un sottopassaggio, la soffitta di un palazzo, una vecchia cappella. Nessuno dice niente, naturalmente. Nessuna persona normale avrebbe la forza di mettersi contro chi non si fa scrupolo di ricorrrere alle armi. Chi si ostina a credere nella giustizia spera che sia lo Stato a far ritornare l’ordine. Spesso invano. Chi lamenta l’assenza di denunce da parte dei cittadini non sempre dice il vero. Non poche volte chi ha avuto il coraggio di mettere a rischio la sua vita e quella dei suoi cari e ha denunciato è stato poi lasciato solo a combattere. E questo vuol dire condannarlo a morte. Occorre abbattere le mura dei vecchi ghetti e smettere di costruirne di nuovi. Il fenomeno delle stese dura già da molti anni, avrebbe già dovuto allarmare l’intero Paese, e oltre. Come per gli attentati terroristici.
La gente corre gli stessi pericoli. Le morti innocenti suscitano le stesse lacrime. Non è pensabile finire nell’inferno di una stesa. Il solo pensiero che una mamma – come la cara Silvia Ruotolo – non faccia più ritorno a casa è insopportabile. Napoli naturalmente non è solo questo. Ma è anche questo. Non è solo Forcella. Ma è anche Forcella. E se a Forcella, persino mentre si fa festa per san Gennaro, si spara come se nulla fosse bisogna correre ai ripari. Napoli vuole vivere. Napoli deve vivere. Tutta Napoli deve vivere. Conosciamo bene le ricchezze e le bellezze della città, ma conosciamo anche le sue debolezze e i suoi peccati di omissione. Il ragazzo ferito è vivo, ma avrebbe potuto essere ucciso. È a casa, ma avrebbe potuto essere all’obitorio. Nella festa di san Gennaro.