Analisi. Due parole chiare sull'aborto. Poi però il G7 sia all'altezza dei suoi compiti
È cominciato in Puglia il G7 a guida italiana, presente oggi il Papa alla sessione sull’intelligenza artificiale. Trepido tema nuovo, questo miracolo tecnologico che si affaccia sul mondo con la potenza di un uragano, e nella fantasia è quasi sfida all’intelligenza umana che l’ha generato. Tema non religioso, ma che certo coinvolge una riflessione sullo spirito, sul prodigioso mistero della mente, della coscienza e della ragione, sulla capacità creativa di traslocare in una macchina procedimenti logici prefigurati in algoritmi. È lo spirito che accede al Vero invece che ai Dati, e che ha coscienza e libertà, la dimensione trascendente dell’uomo. Poi i problemi concreti del G7 sul “da farsi” daranno filo da torcere, ma il preludio dell’invito al Papa ha il senso di un affaccio sulla presenza nel mondo e nella natura dell’uomo di una spiritualità che lo imparenta con l’Assoluto.
Di anno in anno il G7 affronta le sfide globali del mondo: l’ordine economico e finanziario, le crisi regionali, i conflitti, le questioni ambientali e climatiche, lo sviluppo, l’energia, la sicurezza. Inevitabile, in questi giorni, il tema della pace; come uscire dal labirinto maledetto delle atrocità d’una infinita ecatombe. E poi come cooperare per un mondo solidale, come casa comune di tutti.
Eppure l’attenzione della vigilia è stata rivolta, o artificialmente dirottata, sulla bozza della risoluzione finale, ovviamente in fase preparatoria, per vedere se conteneva o no l’accesso all’aborto. L’anno scorso, al vertice di Hiroshima, avevano scritto «legale e sicuro»; stavolta Francia e Canada, lo volevano «effettivo e sicuro». Le polemiche che si sono accese non sembrano avere l’intelligenza di tener gli occhi sull’orizzonte tremendo dei problemi che il G7 deve affrontare, come se la congettura sulla frase dell’aborto, ove omessa o clonata o variata, fosse ciò che suggellerà il succo dei dibattiti, dei confronti, dei consensi e dei dissensi di tre giorni di lavoro sui problemi di un mondo malato, a rischio di catastrofe.
Però alcune cose vanno dette, con pacata precisione. Uno: l’aborto è un male. È materialmente la morte di un figlio. Se è vero il dato dell’Organizzazione mondiale della Sanità (42 milioni nel 2021) è una strage che miete vite innocenti al pari di una guerra mondiale all’anno. Dunque il quesito di fondo non è se sia meglio “legale e sicuro” piuttosto che “illegale e insicuro”, ma che non fosse. Prevenire, scongiurare la strage, ecco il punto. A ottenere ciò, come ci insegna la storia, non è questione di regole legali, ma di soccorso.
Vorrei che gli attuali abortisti riflettessero sul pensiero dei fondatori delle leggi sull’aborto. Comincerei dalla Francia, dove la legge ottenuta nel 1975 da Simone Veil, quella che ancora regola ciò che da marzo scorso la Costituzione chiama «libertà garantita», fu accompagnata da queste sue parole: «Nessuno può provare soddisfazione profonda nel difendere un testo simile su questo tema: nessuno ha mai contestato che l’aborto sia un fallimento e un dramma».
Tra noi, gli abortisti che pensano che abortire sia “di sinistra” vadano a risentire ciò che disse Berlinguer a Firenze il 24 aprile 1981 sul proposito che «nel futuro dei giovani non ci sia più l’aborto» e sull’impegno di «contenerne i guasti e di avviare i mutamenti culturali e sociali che tendano gradualmente a farlo scomparire come atteggiamento culturale e come fatto sociale. Noi non siamo dunque abortisti, l’aborto resta per noi un male». (Non si comprende come gli epigoni, che celebrano commossi i 40 anni dalla sua scomparsa, possano scordare, o tradire quel pensiero).
Quel che chiede al villaggio umano la maternità difficile è il soccorso. È la libertà di tenere in vita il figlio a cui è stata data vita nel grembo. E c’è chi non solo nega il soccorso, ma lo ostacola, lo impedisce quando si dà disponibile a richiesta, in muta e discreta attesa di chi voglia bussare all’ascolto. Non soccorrere è cattivo, ostacolare il soccorso è perverso. A volte penso a singolari similitudini nel campo giuridico quando ci si avventura a rendere praticabili i “mali minori”, come si dice, invece di promuovere il bene maggiore. Accade per le leggi di guerra, che vorrebbero limitare la ferocia, dicendo che non si può ammazzare con le bombe a grappolo o col gas, ma con la mitraglia e con i droni “intelligenti” sì. Ma il sogno, ma la speranza, anzi il dovere umano è la pace e l’aiuto alla pace. E se ne deve parlare in questo nostro G7 italiano, e fare qualcosa che non sia più solo la guerra “legale e sicura”.
Di sicuro c’è solo la sconfitta immanente dell’intelligenza umana. Del pari il sogno, la speranza, anzi il dovere umano non è la legalità e la sicurezza dell’uccisione dei figli, ma l’amore alla vita e l’aiuto perché ciò non avvenga più.