Tempo di Vangelo, non di speculazioni. Fugare le nebbie
«La nebbia se n’è andata. Le cattive lingue dicono che verrà la pioggia… Non lo so, io non la vedo ancora...»: nell’introduzione di papa Francesco alla preghiera dell’Angelus, c’è forse una chiave per tutto quello che abbiamo visto e ascoltato ieri a Milano. Papa Francesco ha ripreso l’immagine nell’omelia della Messa, sullo scenario affettuosamente austero di certe Annunciazioni della pittura dell’Umanesimo. Dobbiamo affrontare i tempi – ha scandito – non da spettatori che «aspettano che smetta di piovere».
Le chiavi per superare l’inerzia della rassegnazione le offre proprio l’Angelo dell’Annunciazione. Il luogo dell’Annunciazione è imprevisto, l’annuncio è inatteso, la destinataria è una fanciulla ai margini di tutto. Ogni «nuovo incontro di Dio con il suo popolo», commenta il Papa, avviene dove normalmente non ce lo aspettiamo: «ai margini» non «al centro» delle attese. Dio è sempre l’Inatteso, prende l’iniziativa e scombina il calcolo dei possibili. «Impossibile all’uomo, possibile a Dio». E dove sta la sorpresa? La sorpresa sta nel fatto che noi aspettiamo che si squarcino i cieli, per la venuta di Dio. E invece si apre il grembo materno di una Donna, il Figlio si incontra nelle piazze e nelle case, frequenta i luoghi del lavoro e della festa.
Dobbiamo saper vedere «il vino» che trasforma «l’acqua» delle nozze di Cana, il lievito che fermenta la massa, il sale che insaporisce la vita, aveva detto ai sacerdoti e ai religiosi e religiose riuniti nel Duomo. E soprattutto dobbiamo saper fare la differenza – ha poi spiegato il Papa, rispondendo alle domande – fra ciò che porta gioia nell’evangelizzazione e ciò che la avvilisce nella rassegnazione al mestiere e nell’ossessione della conquista. Quali sono le priorità del ministero? Quelle che portano gioia dell’evangelizzazione: perché questa, a sua volta, porta speranza ai destinatari della buona notizia. Papa Francesco ha citato l’Evangelii Nuntiandi di Paolo VI, che ha definito – sacrosantamente – «il più grande documento pastorale del dopo Concilio, che ancora oggi ha attualità». In quella Esortazione, Paolo VI parlava chiaramente di una comunità a rischio di rassegnazione e senza slancio missionario, a motivo della sua immagine troppo clericale e poco familiare.
Esiste anche un’accidia teologica della fede, ha concluso il Papa, che si maschera nella celebrazione della propria compiutezza e nell’esaltazione della propria perfezione.
La comunità dei credenti si chiede oggi, come Maria, «Come avverrà questo?». Come può nascere Dio, proprio qui? Ma insieme ai credenti, se lo chiedono uomini e donne, sempre più numerosi, che aspettano la visita di Dio anche senza saperlo. Dio non rientra, a quanto pare nei calcoli di questo mondo così ottusamente amministrato dall’economia e dalla tecnica della risorse materiali capaci di produrre denaro.
L’ossessione di lucrare guadagno e benessere – ha ricordato il Papa – specula su tutto: sulla vita, sul lavoro, sulla famiglia; sui poveri e sui migranti, sulla salute e sui giovani. La speculazione si compra e si vende tutto. Anche i bambini. Il dolore bussa alle porte dei popoli, e c’è chi fa affari con la guerra. Eppure, la saggezza umana dei popoli resiste alla compravendita della vita, di generazione in generazione. I nostri padri e le nostre madri resistettero. Se resistiamo alla rassegnazione, se non ci rifugiamo nei chiostri, se usciremo a cercare gli abbandonati e i perduti, avremo in casa la visita di Dio. Ascolteremo la voce dell’Angelo che dice «Rallegrati! Il Signore è con te!». Impediremo alla città dell’uomo di divorare i suoi figli e di eliminare i suoi anziani. Ristabiliremo l’alleanza delle generazioni e i giovani avranno di nuovo sogni veri. E la Chiesa dovrà diventarci familiare come la Donna dell’Annunciazione, che fa nascere il Figlio per noi.
L’arcivescovo Scola aveva ragione: il Papa è venuto a Milano per confermare la nostra fede. L’ha fatto. È venuto in letizia e in letizia è stato accolto, come se ci vedessimo spesso e avessimo piacere di ascoltare da lui parole semplici, pulite, forti. Le nebbie, se c’erano, se ne sono andate. E noi non siamo di quelli che aspettano che spiova, per muoverci.