Le frustate ai migranti haitiani in Texas/2. Un'obiezione indispensabile
Quella frusta texana brucia anche sulla pelle di tanti che han potuto guardare un video-sferzata e non han dovuto guadare un fiume-confine. Brucia su chi ha sensi intatti, ma non ha mai provato l’umiliante irregolarità dei poveri: umanità ormai catalogata come totalmente straniera e "clandestina".
Brucia la frusta e brucia l’inerme tenacia, o la dolente mancanza d’alternative, delle persone incamminate nell’acqua del Rio Grande verso le staffilate vibrate dall’alto di cavalli monumentali come una certa idea d’America e come la disumanità dei sistemi che riducono i migranti a criminali. E ferisce, ma non stupisce, che qualcuno neghi ancora che un uomo che scappa da Haiti e chiede asilo è profugo. Ha perciò ragione Ferdinando Camon, qui, oggi, ad accusare coloro che (ad Austin e altrove) impartiscono ordini cattivi e su coloro che (a Washington e altrove) non sanno darne di buoni. Ma non dimentichiamo mai che chi usa la frusta, a differenza delle vittime, ha sempre l’alternativa. Può fermarsi, deve saper obiettare. In nome di Dio o della coscienza che nessun (dis)ordine piega.