Il voto in Francia. Quella forte voglia di cambiamento
Se si guarda il risultato francese volendo cogliere solo gli aspetti più positivi, rispetto ai timori della vigilia, si può avere l’impressione che la tempesta populista che minacciava l’Europa sia passata senza troppi danni. Primo il candidato pro-Ue, al cui comizio post-voto sventolavano bandiere dell’Unione, ottime prospettive per una sua vittoria al ballottaggio, sondaggi che hanno perfettamente previsto l’esito, a significare che l’elettorato è tornato a essere “trasparente” e non umorale e indeciso fino all’ultimo, che in altri appuntamenti recenti con le urne. Emmanuel Macron ha letto compunto il suo discorso davanti ai sostenitori. Ma se ascolta con attenzione che cosa ha detto con il suo eloquio elegante, nel suo discorso scritto e preparato in precedenza, si comincia a comprendere che il primo turno delle presidenziali conferma la “rivoluzione” in corso nella politica occidentale. Il vincitore del primo turno ha infatti parlato di grandi trasformazioni per la Francia e di rifondazione per l’Europa. Per molti versi, la vittoria di “En Marche”, un movimento nato e cresciuto in pochi mesi, non è diversa dal successo della Brexit e dall’affermazione di Donald Trump.
Rottura con il passato
A Parigi si è consumato il crollo dei partiti “tradizionali” (neogollisti e socialisti precipitano fuori dal ballottaggio), mentre Marine Le Pen conquista la migliore affermazione di sempre per un Front National che, pur ampiamente trasformato, mantiene comunque una debole continuità con la destra razzista e antisemita. Vola anche una sinistra utopistica che lancia parole d’ordine affascinanti ma sganciate dalla complessa realtà di una Francia alle prese con la crisi economica e sociale. Insomma, il messaggio era chiaro fin dalla vigilia: l’elettorato vuole cambiare, confusamente cerca una svolta oltre i personaggi e i processi istituzionali. E questa volta ha trovato un “campione” del mutamento che ha il volto moderato di Macron. Che conquista il 23% dei voti ma, se non fosse per il meccanismo del doppio turno, forse non salirebbe all’Eliseo, come ora è probabile che accada fra due settimane.
Incognite e certezze
Che tipo di leadership potrà esprimere Macron? Dipenderà dalle legislative in cui le incognite saranno forse anche maggiori rispetto alle presidenziali. Che risultato otterrà il suo partito, “improvvisato”? Il successo personale si può costruire ormai in pochissimo tempo, lo si è visto e non è necessariamente un fenomeno tutto positivo, ma in giugno servirà vincere in centinaia di collegi per non dovere poi costituire un’ampia coalizione parlamentare. La certezza resta quindi la volontà dei francesi di rinnovare fortemente il quadro politico, magari senza una chiara percezione di dove si debba andare. Ma metodi e ritmi della comunicazione pubblica stanno imponendo dappertutto un’accelerazione che travolge il “vecchio” e apre spazi ai populismi. Non per convinzione, piuttosto laddove promettono di cambiare e di ridare voce alla gente. È forse questa una delle prime lezioni da meditare che viene dal voto francese.