Essenziale sprone. Francesco, la pedofilia e la mafia
Chi confonde misericordia con indulgenza, e pensa che sia una specie di melassa che tutto rimedia chiudendo un occhio e pareggiando il bene e il male, rilegga oggi le parole che il papa Francesco, il profeta della misericordia, ha pronunciato sulla macchia atroce della pedofilia, e poi quelle sulla piaga sociale della criminalità mafiosa. Due temi diversi, distanti; l’uno relativo all’innocenza profanata, alla violazione d’una intimità sacra; l’altro attinente a un cancro della vita comunitaria, una putredine inestirpata. A noi pare di accomunarli a fatica, sotto una comune ombra, sotto il pensiero doloroso del male che insidia le cose più belle della vita e le guasta; il male che fa torbidi i giorni e angosciose le notti di molti; il male che ha nome di crimine per la legge umana e che per la coscienza credente ha la struttura abietta del peccato.
Sulla pedofilia il Papa è stato tagliente. Sdegno e severità, dentro un dolore acuito dai ritardi nel misurare il male e le sue ricadute. Ora noi, che vediamo le pene canoniche che la Chiesa commina in modo inflessibile a «coloro che hanno tradito la loro chiamata», in parallelo alle condanne che la giustizia civile infligge ai colpevoli, osserviamo il doppio volto del male. C’è un profilo criminologico, negli abusi sui minori, che mostra una devianza bruta, con qualcosa di guasto in se stessa, una devianza in certo modo "malata" per la sua anomala perversione. La cosa atroce è che il mondo ne è pieno, non per faccenda di preti; provate ad aprire sul web la pagina dell’Unicef "abusi"; se vi regge il cuore. Qualche anno fa il Consiglio d’Europa lanciò una campagna contro gli abusi sessuali sui minori, e il titolo "Uno su cinque" (cioè in Europa un bambino su cinque subirebbe abusi sessuali) resta ancora qualcosa che toglie il sonno.
Che cosa succede nel cuore di un bambino violato è un dolore che gli psicologi forensi stentano a descrivere; ci vorrebbero a volte le parole di Dostoevskij sull’infanzia umiliata o torturata come obiezione ultima alla "armonia" di un universo scempiato. O i pensieri veementi di Bernanos sullo "spirito d’infanzia" insozzato dalla lussuria degli adulti, simile alla pazzia. Ma c’è ancora dell’altro, c’è qualcosa che ha a che fare non solo col corpo, ma con la prossimità che hanno i bambini con l’invisibile, cioè col mondo dello spirito. Questo pensiero dovrebbe già guidare l’approccio di ogni educatore al bambino che gli si confida, che gli si affida; conscio che corporeità e affettività e sessualità toccano le dimensioni dello spirito. E per chi crede che i loro angeli vedono il Padre, e se non si diventa come loro non si entra nel Regno, il monito evangelico fa tremare. La decisione dura del Papa (chi ha abusato e ha avuto condanna canonica non sarà mai "graziato") appartiene ancora allo strato giuridico dei delitti e delle pene. Non si rinnega, certo, che la misericordia divina è più grande di ogni peccato, ma essa mette in cuore col perdono la radicale conversione e riparazione.
Sulla mafia, papa Francesco ha ripetuto parole che abbiamo già nella comune memoria dolorosa. La differenza, pensiamo, è che il Papa non è un sociologo, ma un apostolo del vangelo; e la mafia è, dentro la comunità umana, il controvangelo dell’empietà che si fa norma di tutto, banalizza il male e confonde la verità con la menzogna. È questa dimensione "spirituale" che fa la differenza col crimine comune. A ragione l’allarme primario colpisce la corruzione (non come episodico tradimento del dovere, ma come disprezzo dell’interesse generale, come sistema, opportunismo, inganno, frode) cioè la palude fangosa che dà alla mafia ricettacolo. Così va letta la parola, esplicita ed esigente, in un periodo di grande scontento e confusione politica, che fa da sprone fortissimo all’azione politica: non basta lottare e reprimere, bisogna bonificare, trasformare, costruire. Cioè essere giusti, metterci il cuore.