Opinioni

«Genius vitae». Fragilità e spiritualità: l'anima dell'esperienza che trasforma

Mauro Magatti mercoledì 9 dicembre 2020

Genius vitae ha l’obiettivo di studiare e raccontare esperienze della 'genialità cristiana' capaci di abitare due frontiere della vita umana: la fragilità (povertà, solitudine, sofferenza) e la spiritualità (mistero, preghiera, arte). Esperienze ed espressioni in grado di generare nuove forme di conoscenza in alternativa all’egemonia globale del riduzionismo tecnoscientifico.

Riscoprire la «genialità della vita» per generare forme sociali inedite, creative, propizie alla fioritura dell’umano. Dall’apertura all’altro al bene comune. Questa sera, dalle 17 in diretta streaming (su www.geniusvitae.org), viene presentato il progetto Genius vitae - Universitas experientiae, nato da una partnership tra la Pontificia Accademia per laVita, presieduta da monsignorVincenzo Paglia, e il Centro Arc (Anthropology of religion and cultural change) diretto da Mauro Magatti presso l’Università Cattolica di Milano.

Lo sviluppo tecnologico e la diffusione del mercato in ogni ambito dell’esistenza umana spingono nella direzione di una crescita senza limiti e di un aumento della potenza sistemica. La vita umana si trova così sempre più al centro del grande meccanismo tecnoeconomico globale, con il rischio di venire fagocitata. Dalla nascita alla morte, ogni ambito dell’esistenza è sottoposto a un incessante processo di misurazione, controllo e messa in produzione. Mentre intere porzioni di vita umana e di umanità vengono ridotte a scarti, mere esternalità di un sistema che non tollera vulnerabilità ed imperfezioni. In questo senso, transumano e disumano solo apparentemente rappresentano i poli opposti di un medesimo processo di espansione illimitata e di superamento di ogni limite che intacca la nostra stessa esperienza della vita, ormai ridotta a problema tecnico. Il senso della nostra esistenza e le forme del nostro vivere sono a rischio. Da dove ripartire?

Secondo Romano Guardini, l’essere umano è un concreto vivente. Ogni astrazione, per quanto utile, si porta dietro il rischio della disumanizzazione. È dunque dalla concretezza dell’umano che si può recuperare una diversa sorgente di comprensione, di significati, di pratiche. Non una conoscenza astratta o una ideologia, ma un sapere radicato nell’esperienza. Perché è la vita che ci 'istruisce', se sappiamo aprirci a essa anziché cercare solo di dominarla e sognare di arrivare a fabbricarla. La vita non è solo un oggetto di discorso, un valore da voler difendere, ma la forza che ci porta: solo da una prospettiva 'nella', anziché 'sulla' vita, possiamo rigerenerare il nostro sapere e le forme del nostro vivere insieme.

Nonostante i continui tentativi di riduzione umano a mera materia biologica manipolabile, la vita stessa continua a debordare ogni forma storica e sociale che tenti di imbrigliarla. È l’eccedenza dell'essere il tratto che meglio qualifica la vita: un movimento di continua uscita da sé, un incessante trascendersi che spinge l’essere umano oltre se stesso, aprendolo ad altro. Questa dinamica emerge con forza nel rapporto, sempre fuori equilibrio, tra le forme storiche della vita sociale e la vita stessa. Se, da una parte, solo attraverso forme istituite è possibile fare esperienza della vita, dall’altra parte queste stesse forme sono sempre chiamate a confrontarsi con la propria parzialità, costantemente superate dal fluire eccedente della vita stessa. Dentro questa dinamica è possibile forgiare risposte originali ed esemplari, intrecciando le esigenze materiali con le istanze di senso, il finito con l’infinito. Solamente mantenendo un rapporto aperto e dinamico con il fluire della vita, le forme istituite possono evitare il rischio dell’autoreferenzialità e, ancora più radicalmente, la tentazione di ergersi a padrone della vita.

In un mondo dove sempre più la verità viene fatta coincidere con la certezza, con ciò che è dimostrabile o ciò che 'funziona', l’esperimento definisce il canone della conoscenza affidabile. È in effetti, per questa via, che l’umanità ha compiuto passi straordinari nel corso dei secoli. Il problema nasce quando si tende a assolutizzare questa via. L’esperimento, infatti, non può che permetterci di “vedere” solo una parte della realtà. È invece l’esperienza, che ha come condizione l’aprirsi ad altro da sé, il luogo in cui l’essere umano incontra l’eccedenza della vita, a livello sia individuale che sociale. Il termine “esperienza” deriva dalle radici pera (al di là), poras (passaggio, porta) e peras (limite) e richiama l’idea di un passaggio, di un cambiamento. L’esperienza comporta perciò il riconoscimento che c’è dell’altro oltre ciò che possiamo fabbricare. Non c’è esperienza senza apertura ad altro da sé. E non c’è apertura, e quindi possibilità di essere attraversati e portati dalla vita, se non ci si lascia provocare, interpellare, convocare dalla concretezza in cui la vita si manifesta.

Vi sono due punti-limite privilegiati da dove si può conoscere la vita: il confine della trascendenza e quello della fragilità. L’esperienza della trascendenza riguarda la frontiera del mistero, ovvero ciò che va oltre quanto immediatamente comprensibile dall’essere umano, poiché indeducibile e originario, e che, tuttavia, lo tocca nella sua profondità, nella possibilità di trovare un senso alla propria esistenza. L’esperienza della trascendenza apre su Dio e sull’uomo. Il confine della fragilità, invece, ha a che fare con l’altro, in particolar modo quando è ferito (nel corpo o nello spirito), piccolo, povero, malato, straniero, abbandonato. In questi termini, l’altro fragile è sempre una provocazione nei confronti della volontà di potenza umana, avvinghiata nell’eccesso antropocentrico che, alimentato dai sistemi tecnici, tende a chiudere la vita sociale su se stessa. Si tratta di una fragilità che, mentre si rende manifesta in alcune forme particolarmente evidenti, tocca la condizione umana in quanto tale in modo costitutivo: ciascuno nel proprio nascere e morire, e nelle ferite dell’esistenza lungo il cammino di divenire se stesso. Solo abitando queste due frontiere, questi punti-limite della vita individuale e sociale, l’essere umano può rispondere all’eccedenza della vita, ossia abitarla e lasciarsene abitare senza pretendere di diventarne padrone. Solo confrontandosi con queste due esperienze-limite, che toccano l’oltre e l’altro fuori e dentro di sé, le forme della vita umana possono andare oltre la loro autoreferenzialità, per generare vita e lasciarsi rigenerare, per rispondere in modo originale e concreto alle sfide della condizione umana di ogni tempo e alla domanda di vita che essa incessantemente esprime.

La tradizione cristiana – specie quella Cattolica – ha da sempre una grande capacità di generare forme originali di cura della vita. Si pensi ai numerosi luoghi dello spirito (come abbazie, monasteri), ai tanti luoghi di cura (ospedali, ricoveri), alle tante realtà educative-formative (scuole, università), così come alle realtà di ispirazione cristiana capaci di istituire nuove forme di sviluppo individuale e sociale (banche, cooperative, imprese sociali). In questo senso è possibile parlare di una vera e propria “genialità cristiana”, capace di attraversare i confini della sfera religiosa per andare verso quelle frontiere in cui la vita umana si dà con tutta la sua forza.

Una elaborazione culturale capace di dialogare autorevolmente con la cultura «mainstream», favorendo la nascita di nuove alleanze tra tutti coloro che hanno a cuore l’esistenza nella sua integralità

Genius vitae (genitivo soggettivo e oggettivo insieme) è la genialità della vita, insieme fonte di comprensione partecipata (e quindi consapevole delle interdipendenze) anziché distaccata (nella logica del dominio) e condizione per forme sociali inedite, creative, propizie alla fioritura dell’umano. Il problema è che queste esperienze non rimangano dei frammenti isolati. Anche perché faticano a dialogare tra loro e con il mondo che le circonda. Favorendo una forma nuova di narrazione e di circolazione della conoscenza derivante dalle esperienze vissute da chi si es-pone ai due confini della trascendenza e della fragilità, il progetto Genius Vitaenasce per dare voce a queste esperienze mettendone in rete la ricchezza. L’obiettivo è quello di stimolare, ispirare e mobilitare perché è proprio su questi due confini che possono prendere forma processi e percorsi di vera trasformazione. Nell’intento di contribuire a ricostituire una conoscenza condivisa fondata sulla concretezza di esperienze singolari. Una conoscenza viva e incarnata, capace di parlare all’uomo contemporaneo. Non si tratta solo di una raccolta di testimonianze o best practices globali, ma di una narrazione polifonica, nei soggetti e nelle forme, che fa emergere una comprensione nuova della vita a partire dalla concretezza della vita stessa. Una comprensione insieme singolare, legata alla unicità di ogni singola situazione, e universale, capace di rivelare qualcosa dell’umano e del senso della vita.

A fronte di una cultura in cui l’universale presuppone l’astrazione, con tutte le conseguenze disumanizzanti che ne derivano, pensiamo che dalla vita esposta sulle frontiere che la tengono aperta venga la possibilità di accedere a un 'universale concreto', del quale mai come oggi c’è bisogno. Il sito www.geniusvitae. org mira altresì a diventare il punto di partenza per nuovi processi nell’ambito della formazione, dell’educazione, di una elaborazione culturale capace di dialogare autorevolmente con la cultura mainstream, favorendo la nascita di nuove alleanze tra tutti coloro che hanno a cuore la vita nella sua integralità.