Opinioni

Coronavirus. Forza e qualità delle relazioni, i rischi di una deriva selettiva

Pierpaolo Donati mercoledì 8 aprile 2020

Cosa insegna al nostro vivere sociale l’epidemia di Covid-19 La pandemia di Covid–19 ci ha mostrato in maniera drammatica l’importanza delle relazioni sociali. Senza relazioni, il virus non esiste. Il che significa che le relazioni contano, e contano più del denaro. Il Covid–19 ci ha costretti, dunque, a misurare le relazioni. La relazione non è soltanto un veicolo, un canale dentro cui passa qualcosa e che dunque “porta” il virus, così come le tubazioni portano l’acqua. In un certo senso, possiamo dire che “il virus è nella relazione”, è la stessa relazione, quando la relazione non è compresa nella sua portata. Ma nello stesso tempo, la relazione “è il suo rimedio”, se siamo capaci di capirlo.

Prendere o meno il virus dipende dalle qualità e proprietà della relazione sociale, nella sfera pubblica come nella famiglia. Dobbiamo misurare la distanza e la forza della relazione, le sue qualità e le sue proprietà causali. Saper prender le distanze giuste tra Sé e l’Altro, coinvolgerci e distaccarci, diventa fondamentale perché la distanza cambia la forza di ciò che è trasmesso, così come determina la sua bontà, neutralità o dannosità. Ma come si fa a vivere senza relazioni per non prendere il virus? Delle relazioni abbiamo assoluto bisogno, ma dobbiamo saper distinguere fra relazioni buone e non buone.

Dunque, la pandemia ci ha mostrato che le relazioni sono la stoffa del sociale, nel lavoro, nella vita associativa, in famiglia, in ospedale, nella comunità ecclesiale, in tutte le attività con altri. Le relazioni decidono della qualità della nostra vita, e del nostro destino. Lo fanno nel bene e nel male. Mica poco! Infatti, da un lato le relazioni sociali fra amici, colleghi, familiari, parenti, sono state il veicolo del virus e hanno prodotto una catastrofe mondiale. Dall’altro, per combattere il virus, si è dovuto ricorrere alle buone relazioni in famiglia. La soluzione additata è stata quella di isolare le persone in famiglia, rivitalizzando le relazioni di compagnia fra genitori e figli, e magari connettendosi a distanza con i nonni su internet.

Il messaggio è stato: se non fate attenzione alle relazioni, dentro e fuori della famiglia, rischiate di ammalarvi. I nonni sono stati isolati. Nello stesso tempo, l’isolamento richiesto alle singole persone e alle famiglie ha costretto le famiglie a una vita in comune mai sperimentata in precedenza, e così ha messo sotto stress le loro relazioni interpersonali. Lo stress (tensioni, disagio, ansia) ha avuto e avrà anche in seguito effetti selettivi: alcune famiglie si sentiranno più unite, altre esploderanno in vari modi. Questo è un tema di future ricerche.

Qualcuno osserverà che c’è stata una grande condivisione di informazioni, messaggi, conversazioni su internet. Ma è tutto da dimostrare che queste connessioni abbiano rafforzato la cultura delle relazioni. Sono certamente state un ulteriore passo nella alfabetizzazione delle persone e delle famiglie al mondo digitale, che nella nostra realtà era molto indietro rispetto agli altri Paesi europei. In poche settimane, smart working, didattica a distanza, servizi su internet, e così via, hanno addestrato le famiglie italiane al mondo del digitale come nessun altro avrebbe potuto fare in molti anni. Ma qualcuno potrebbe argomentare che si tratta di un ulteriore passo verso la sorveglianza e la colonizzazione della popolazione. E allora ritorna il tema di quali relazioni sociali abbiamo bisogno per non farci colonizzare dalla grande Matrice Digitale che sta governando il mondo.

Durante la pandemia, tutti hanno dovuto aggiornarsi nell’uso delle tecnologie, soprattutto le Ict, le app, le piattaforme, e capire qualcosa di più di come funzionano gli algoritmi e le intelligenze artificiali. La pandemia è stata una spinta incredibile a entrare nella infosfera. La tecnologia cambierà radicalmente le nostre relazioni. Ne può venire molto di buono, ma anche molto di male se le tecnologie saranno usate senza una cultura adeguata delle relazioni. Bisognerà capire come dare più potere e capacità alle persone affinché non diventino ancora di più i terminali di un sistema tecnocratico che tutti sorveglia e tutti condiziona verso scopi non detti, o comunque non decisi dalle persone e dalle famiglie. Su questo terreno, i due modelli leader nel mondo, il regime autoritario della Cina e la democrazia americana che poggia sul mercato, non promettono nulla di buono. L’Italia sarà stretta fra questi colossi che utilizzeranno le tecnologie digitali per condizionare con strumenti penetranti la vita della gente. Il coronavirus ha dato una grande mano in questa direzione.

Occorre potenziare la nostra cultura delle relazioni. Le relazioni sono ambivalenti ed enigmatiche perché possono generare il bene o il male, e dunque richiedono un’osservazione competente, capace di vederle (sono una realtà diversa dai nostri sentimenti o idee) e gestirle. Di norma noi non vediamo, né tanto meno gestiamo le relazioni, le quali, invece, – sotto la forma delle connessioni virtuali sui media – vedono e gestiscono noi come persone. Le relazioni non sono comunque mai ciò che desideriamo che siano, non sono proiezioni dei nostri interessi. Incidono sulle nostre vite senza che ne siamo consapevoli.

Quando la pandemia sarà finita, il posto di questo virus sarà preso da altri agenti patogeni, quelli di una cultura darwiniana che usa consumi e tecnologie per selezionare la popolazione e creare un mondo di fantasmi e di cyborg. È qui la sfida per avviare un altro modello di sviluppo sociale, in cui la cultura delle relazioni dovrebbe essere oggetto di una cura speciale. Per evitare il rischio di una evoluzione darwiniana che privilegia il più forte e crea disuguaglianze, serve una “conversione” radicale, che è innanzitutto un nuovo apprezzamento spirituale delle relazioni umane (in latino cum–vertere significa fare sì che una cosa divenga altra da quella che è, trasmutare, trasformare).

Sociologo, membro dell’Accademia Pontificia di Scienze Sociali