Un’aula luminosa è migliore di un’aula tenebrosa. Una classe di venti studenti è preferibile a una classe di trenta. Un istituto con un dirigente tutto per lui è una fortuna, un dirigente diviso tra mezza dozzina di istituti è una mezza sciagura. Un professore che segue la sua classe dal primo all’ultimo anno è decisamente augurabile, malaugurata è quella classe che avrà una grandinata di professori tutti di passaggio. Meglio avere fotocopiatrici funzionanti e dotate di carta; aule specializzate, palestre attrezzate. Meglio, molto meglio. Guai a sottovalutare i problemi strutturali che angustiano la scuola italiana. Ma all’inizio di un nuovo anno scolastico va ricordato che tutto, assolutamente tutto è vano se a mancare, a vacillare, a fallire è la componente decisiva, la sola che può rendere memorabile, fondamentale, indimenticabile un’esperienza scolastica: gli insegnanti, che d’ora in poi chiameremo semplicemente maestri, in senso proprio e in senso lato. Se il maestro c’è, ed è vivo, anche una scuola fatiscente può diventare una reggia. Ma se il maestro è assente, anche una reggia diventa fredda e vuota, inodore e insapore. La scuola italiana ha bisogno di tantissime cose. Ma la prima, quella assolutamente indispensabile, sono i maestri. È una verità solare, eppure mai abbastanza ricordata. La persona è importante ovunque: in fabbrica, in ufficio, nei servizi... ma nella scuola conta per il novanta per cento – a spanne – nella riuscita dell’«impresa educativa».Chi è un «maestro vivo»? Un alunno di 7 anni descrisse così le sue maestre: «Sono degli zombi». L’espressione, che fa sorridere, purtroppo era tanto plastica quanto reale. Maestre senza alcuna passione, senza calore, senza vita. Forse preparatissime, ma del tutto incapaci di trasmettere il gusto di apprendere, il piacere di sapere e di crescere. Maestre a cui mai un bambino avrebbe fatto un confidenza, e che mai ricorderà con gratitudine e affetto.La grande maggioranza degli studenti, oggi, è disposta a dare molto, perfino tutto. Ma soltanto a chi, a sua volta, dia tutto a loro. A maestri veri, che conoscono la materia ma la sanno anche insegnare; che considerano gli studenti persone, non numeri; persone con cui entrare in comunicazione. Sono esigenti, i ragazzi, almeno quanto i più esigenti tra i professori. I loro giudizi sui professori zombi, i «maestri mancati», sono impietosi. Studenti si alzano in piedi e chiedono, con educata sfrontatezza: «Professore, quando si deciderà a insegnarci qualcosa?». È davvero accaduto in un liceo del Nordest. Una delle tante loro provocazioni che mettono a nudo i maestri. Non si finge, in classe. Se non hai passione, se dai il minimo, se tiri a campare, se ne accorgono tutti, e ti giudicano, e ti liquidano. Non dai niente? Per me non sei niente. E nessuna traccia lascerai nella mia memoria.Ai maestri – piaccia loro o no – bisogna dire: niente alibi, la scuola siete innanzitutto voi: esigete molto dai vostri studenti, ma solo se siete disposti a dare loro tutto. E agli studenti va detto: esigete moltissimo dai vostri maestri, ma solo se siete disposti a dare altrettanto. Una scuola memorabile nasce e vive e cresce su questo patto. E per tutti gli adulti, infine, valga quanto un maestro – professore, genitore, artista – come Roberto Vecchioni canta nella sua canzone-invettiva
Comici spaventati guerrieri: «I ragazzi nascondono lacrime sospese / come gatte gelose dei figli / hanno un bagaglio di speranze deluse / come onde che s’infrangono sugli scogli». Quelle lacrime vanno fatte affiorare, perché possano asciugarsi; e quelle speranze vanno alimentate e fatte fiorire. «E vorrebbero amare / domani come ieri», conclude Vecchioni. La scuola dei veri maestri e dei ragazzi «guerrieri» è un atto d’amore: amore per se stessi, amore per il sapere, amore per gli altri.