Foibe, negare la tragica realtà nega anche il dialogo e la pace
Gentile direttore,
la mia famiglia conta ben sette persone gettate in foiba, tra i quali mio padre, che sotto i miei occhi di bambino fu trascinato fuori di casa dagli sgherri di Tito con la stella rossa sul berretto. Le scrivo quindi con l’autorevolezza del testimone diretto della tragedia delle Foibe e dell’esodo dei giuliano-dalmati. Ogni anno il 10 febbraio è la data in cui si commemora il Giorno del Ricordo, ma segna anche puntualmente il risveglio di nostalgici apologeti di Tito che si scatenano organizzando contro-giornate del ricordo. Una parata di personaggi che imperversano nella nostra Penisola negando e deformando gli accadimenti che riguardano le vendette dei comunisti jugoslavi contro gli italiani. Personaggi che danno fiato a una pletora di menzogne e che offendono chi quelle tragedie le ha davvero vissute sulla propria pelle. Bene ha fatto Lucia Bellaspiga attraverso le pagine di "Avvenire" a denunciare il tentativo di proporre (proprio per il 10 febbraio!) le solite menzogne delle signore Cernigoj e Kerservan a Torino. L’Anpi stessa non dà loro alcun credito e bene ha fatto l’Anpi provinciale di Torino a chiarire che nulla aveva a che fare con quella scandalosa iniziativa. Chi osa mistificare la Shoah, il 27 gennaio di ogni anno, facendo vilipendio di una legge dello Stato, viene immediatamente e coralmente condannato. È giusto che altrettanto venga fatto durante il periodo in cui si commemorano i nostri martiri. Spetta a quanti hanno vissuto quegli eventi dolorosi riparare alle amnesie della storia. Ma sposo in pieno la preoccupazione che una grande donna, la senatrice a vita Liliana Segre, ha di recente espresso chiedendosi: una volta scomparsi noi, i testimoni diretti degli orrori del XX secolo, i negazionisti e gli indifferenti avranno gioco facile? Spetta all’intera società, non solo a noi, far crescere gli anticorpi in chi oggi è giovane, perché in futuro continui la nostra opera di pace e civiltà.
Gentile direttore,
scrivo riguardo la cancellazione, in seguito a quanto apparso su "Avvenire", del convegno organizzato a Torino sul Giorno del Ricordo dalle saggiste Kersevan, Cernigoj ed altri, con le polemiche da loro sollevate. Purtroppo c’è ancora chi cita solo quanto fa più comodo, senza guardare alle conseguenze finali, quali l’esodo pressoché totale degli italiani, compresi gli antifascisti, dall’Istria, Fiume e Zara. Racconto un episodio familiare. Mio padre, rovignese, partigiano del battaglione Pino Budicin formato da istriani che combatterono i nazifascisti accanto alle brigate jugoslave in Istria subito dopo l’8 settembre (furono poi a queste assoggettati e mandati a morire nei monti oltre Fiume, per impedire contatti con la popolazione italofona istriana) era anche molto amico del fratello di Pino Budicin, Antonio. Pino, catturato in un’imboscata, fu ucciso dai nazifascisti e il fratello rilevò la guida degli istriani antifascisti. Questi cercò di formare in Istria, dopo il fatidico 10 febbraio 1947, una lista di socialcomunisti non appiattiti sull’annessionismo jugoslavo, ma dovette scappare dalla sua terra per aver salva la vita. Nell’autunno del 1947, di passaggio per Roma, dove mi fece da padrino al battesimo, cercò di contattare i dirigenti del Pci con cui aveva condiviso il confino in epoca fascista, ma questi gli negarono ogni appoggio e gli consigliarono di andare più lontano possibile. L’unico che gli manifestò qualche solidarietà fu Umberto Terracini. Se ne andò in Argentina, dove lavorò duramente rimanendo sempre fedele agli ideali socialisti. La ringrazio sentitamente per il suo impegno a difendere, in svariate occasioni, la retta memoria degli eventi tragici causa dell’esodo dall’Istria, Fiume e Dalmazia, i cui responsabili non hanno mai pagato il debito con la giustizia e mi auguro che il Giorno del Ricordo serva ad affratellarci, nonostante le avverse intenzioni di alcuni. Un cordiale e grato saluto
Caro direttore,
desidero farle i complimenti per l’articolo relativo al tentativo di convegno negazionista di Torino ("Torino, un convegno "bufala" contro le vittime delle Foibe", "Avvenire" del 1 febbraio). Grazie per quello che "Avvenire" ha scritto.
Gentile direttore
grazie all’articolo dello scorso 1 febbraio "un convegno Bufala" contro le vittime delle foibe della giornalista Lucia Bellaspiga il suo giornale ha dato nuovamente prova di voler garantire ai suoi lettori una informazione attenta ,corretta e qualificata. In ogni parte d’Italia, in molti Consigli comunali, la commemorazione del Giorno del Ricordo avviene regolarmente ogni anno e, grazie anche all’intervento di "Avvenire", pure il Comune di Torino potrà ricordare le vittime delle foibe e l’esodo degli istriani, dalmati e fiumani secondo quanto previsto dalle legge istitutive.
Gentile direttore,
sono un istriano, nato a Pola, la cui famiglia è stata costretta a lasciare la propria città quando l’Istria è stata ceduta alla Jugoslavia. Dopo diversi anni trascorsi in vari campi profughi, grazie al duro lavoro e ai sacrifici dei miei genitori, siamo riusciti a trovare una sistemazione dignitosa a Milano, dove io risiedo tuttora. Nonostante il trauma causato dalla perdita della casa natia, dei parenti più cari, degli amici d’infanzia, io ho mantenuto inalterato l’amore per la mia terra di origine, dove ritorno regolarmente spinto dalla nostalgia e dal ricordo del bel tempo passato. Non nutro alcun rancore verso i nuovi abitanti della mia città, non li ritengo responsabili delle ingiustizie da noi subite, siamo stati tutti vittime di una guerra la cui responsabilità va ricercata molto più in alto, in decisioni politiche al di fuori del nostro e del loro controllo. Li rispetto e rispetto la memoria dei loro morti. Così rispetto la memoria e le commemorazioni in onore delle vittime della Shoah, della Resistenza, del terrorismo e delle altre vicende dolorose che hanno caratterizzato il nostro passato. Altrettanto rispetto però pretendo per le vittime delle foibe e per l’esodo degli istriani cui è dedicato nel Giorno del Ricordo, istituito soltanto di recente, dopo anni di appelli e di promesse. Ritengo intollerabile che, proprio nel giorno da noi dedicato al ricordo delle nostre vittime e al sacrificio dei nostri genitori, con la scusa di convegni pseudo storici, vengano messe in atto provocazioni tese a giustificare o addirittura a negare fatti dolorosi che hanno colpito le nostre comunità e i cui segni molti di noi portano ancora addosso! Desidero pertanto plaudire all’operato della sua collega Lucia Bellaspiga che, come già in altre occasioni, ha smontato il complotto negazionista e smascherato i provocatori. Desidero inoltre ringraziare lei per l’attenzione che "Avvenire" dedica alle nostre vicende, spesso ignorate dagli altri giornali.
Gentile direttore,
esprimo solidarietà alla sua collega Lucia Bellaspiga, che alcune note negazioniste dello sterminio di italiani compiuto nelle foibe dai titini stanno attaccando. È vergognoso che questo avvenga in un Paese democratico. Noi istriani, fiumani e dalmati siamo italiani e abbiamo il diritto/dovere di commemorare i martiri delle foibe e la Giornata del Ricordo.
Caro direttore,
grazie per aver smascherato con l’articolo della sua collega Lucia Bellaspiga il convegno bufala contro le vittime delle foibe e la Giornata del Ricordo che si stava cercando di organizzare in quel di Torino. È triste che dopo tanti anni ci sia ancora qualcuno che nega la pulizia etnica praticata dal maresciallo Tito e dai suoi uomini dopo l’8 settembre 1943. Ma non dobbiamo stupirci, se è vero, come è vero, che i bombardamenti alleati di Zara sono iniziati dopo quella data: a tappeto, per oltre un anno e per 54 volte, fino all’ottobre 1944. Pure quella fu pulizia etnica, che Tito e la sua struttura militare attuarono senza scrupoli anche contro il loro stesso popolo. Uno di questi, come racconto ne "Il Pescatore", io l’ho incontrato. Era il Natale 1981, quando accompagnando per la prima (e unica) volta dalla fine della guerra mia madre a Zara, la notte, sul molo, incontrammo un uomo che «per tirarne su la zena», pescava. Alla domanda di Marcella: «Come te xe andada?», rispose «Zinque ani i me ga fato far». Era uno scoiano (scoiani erano gli abitanti delle isole di fronte a Zara, dette in dialetto "scogli", territorio del Regno dei Serbi e dei Croati), e i cinque anni sono quelli che Tito gli aveva fatto scontare chiudendolo in un campo di rieducazione, privandolo di tutti i diritti, barca sequestrata, perché parlava l’italiano. Non so se i negazionisti vogliono negare anche questo. I crimini vanno denunciati, sempre, da qualsiasi parte siano commessi. Tanto più che quei fatti sono avvenuti a guerra finita, contro cittadini inermi, con sevizie e torture, previste e punite come aggravanti da tutti i codici penali anche dell’epoca, e, dal 10 dicembre 1948, sanzionate dall’art. 5 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: «Nessuno sarà sottoposto a tortura né a pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti». Grazie per quello che fate.
Pietro Lodovico PreverNoi facciamo semplicemente il nostro mestiere, cari amici, che è quello di raccontare la realtà e di cercare di raggiungere, comprendere e servire, attraverso le verità minuscole e spesso parziali della cronaca, verità tutte intere e più grandi e di avvicinarci, così, alla Verità con la maiuscola. Chi non lo sopporta se ne faccia una ragione: non smetteremo. Da giornalisti e da opinionisti di "Avvenire" ci siamo infatti assunti l’impegno di stare liberamente e tenacemente dalla parte delle vittime. Di ogni vera vittima. Sempre, e in qualunque situazione. Perciò, sperando di essere all’altezza del compito, cerchiamo di metterci al fianco di esuli, perseguitati, depredati, violentati, sfruttati, profughi di guerra e altri forzati alla migrazione… Così. naturalmente, con i nostri fratelli e concittadini giuliano-dalmati. Ovviamente anche nel caso del "convegno bufala" ideato da un gruppo di persone decise a trasformare, almeno a Torino, il Giorno del Ricordo delle vittime delle foibe nel suo esatto contrario: un piccolo festival della mistificazione. Lucia Bellaspiga, con professionalità e con passione civile e cristiana, ha contribuito con l’articolo di giovedì 1° febbraio a evitare che questa vergogna accadesse. E va dato merito alle autorità comunali torinesi, a cominciare stavolta dalla sindaca Appendino, per aver risposto con intelligente prontezza a un’ingiustizia in forma di inaccettabile provocazione. Su tutto e di tutto si può dibattere e ci si può riconciliare con qualunque passato, ma il negazionismo ideologico non può e non potrà mai essere base di dialogo e di pace, perché – appunto – prende le mosse dalla negazione della realtà. E non c’è offesa più grave a chi di quella realtà e in quella realtà è stato vittima. Grazie di cuore a tutti e tutte voi per queste lettere, che hanno uno stesso spirito, ma anche una bella e arricchente diversità di accenti.