Opinioni

Lobbysti e trading ad alta frequenza. Finanza sprint, un iperpotere

Leonardo Becchetti mercoledì 23 aprile 2014
Una delle condizioni fondamentali per la democrazia è quella dell’equilibrio dei poteri e da sempre la tradizione liberale anglosassone ha ritenuto fondamentale proteggere i delicati meccanismi dell’economia di mercato e i potenziali benefici che essi possono arrecare al bene comune attraverso il contrasto ai monopoli e a gruppi di potere troppo forti. Come sappiamo il mondo sta vivendo da questo punto di vista un momento difficile. Il sonno dei regolatori in finanza ha fatto crescere giganti troppo grandi per fallire e troppo complessi per essere regolati, con attivi superiori al Pil degli Stati di origine e risorse ingenti per condizionare il processo politico e culturale.Un recente rapporto del Corporate Europe Observatory fornisce dati concreti a questo che altrimenti potrebbe sembrare ad alcuni vago "complottismo". Il rapporto sottolinea come presso le istituzioni europee il settore finanziario abbia 1.700 lobbisti registrati e spenda mediamente più di 120 milioni di euro all’anno in tali attività (contro i 12 milioni di associazioni consumatori, sindacati e Ong). Ma il dato ancor più impressionante è la sproporzione di rappresentanza negli organi consultivi presso la Bce e le istituzioni comunitarie tra i rappresentanti di questa lobby e gli altri (per fare un esempio: operano presso la Bce 95 "ambasciatori" della lobby finanziaria contro 0 di sindacati e associazioni della società civile). Alla luce di questi dati si capisce molto meglio perché tanti slanci riformatori avviati con il consenso della vasta maggioranza degli elettori europei si siano arenati nella fase attuativa.È il caso, per esempio, delle nuove regole sulla separazione tra banche commerciali e banche d’affari varate negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Francia e in Germania o del percorso di cooperazione rafforzata per l’adozione di una tassa sulle transazioni finanziarie a livello europeo. Su quest’ultimo punto solo nelle ultime due settimane abbiamo registrato prese di posizione molto interessanti. Il premio Nobel Paul Krugman si è domandato il 14 aprile sul New York Times che cosa ci sia di sbagliato nel suo Paese, dove un progetto di infrastruttura essenziale che prevedeva un tunnel ferroviario sotto il fiume Hudson è stato bloccato per mancanza di fondi, mentre sta per concludersi con successo un traforo nei monti della Pennsylvania, costato centinaia di milioni di dollari, per consentire la posa di un cavo di fibra ottica in grado di aumentare di 3 millisecondi la velocità delle transazioni finanziarie tra il mercato dei future di Chicago e la Borsa di New York. Joseph Stiglitz, un altro Nobel, ha rincarato la dose spiegando che il trading ad alta frequenza è un gioco a somma negativa per la società. Sposta semplicemente utili da un operatore meno tecnologico a uno più tecnologico dopo che quest’ultimo ha sprecato risorse (come nel caso del cavo di cui sopra) solo per crearsi un vantaggio informativo sul primo. Stiglitz sottolinea anche con lucidità che il trading ad alta frequenza non produce buona liquidità e buona informazione finendo con il non portare nemmeno benefici al funzionamento dei mercati finanziari stessi. A conferma che queste osservazioni non sono fantasie di professori (per altro esperti di finanza) John Fullerton (fondatore e presidente di Capital Institute, ex Managing Director alla JPMorgan) conferma che la finta liquidità prodotta dai robot che fanno trading automatico sparisce quando ce n’è veramente bisogno e che una tassa sulle transazioni per frenare queste "guerre stellari" della speculazione sarebbe necessaria.Sono questioni di cui dovremmo preoccuparci anche noi in Italia nonostante il nostro sistema bancario abbia dato indubbiamente prova di maggiore resistenza di fronte a queste sirene? La risposta non può che essere sì, soprattutto in un momento come questo in cui le Banche centrali inondano il sistema bancario di liquidità e si lamentano, poi, (assieme a governi e associazioni di imprenditori pronte a costituirsi parte civile come in Sicilia) di banche che non hanno particolare interesse a usare questa liquidità per fare credito alle imprese.Senza alcun pregiudizio ideologico, e senza disconoscere il ruolo assolutamente cruciale di mercati finanziari efficienti, appare oggi fondamentale ripartire da un bilanciamento nelle rappresentanze dei gruppi di pressione tra lobby finanziarie e società civile per poi riflettere sulle vere finalità del sistema finanziario. Che non può essere una bisca di giocatori d’azzardo compulsivi né può massimizzare solo la velocità, ma deve tornare a essere strumento al servizio del bene dei cittadini e delle imprese. Sul fatto che le posizioni più volte espresse su questo giornale in materia siano necessariamente le migliori si possono ovviamente nutrire dubbi e si possono cercare altre soluzioni. Quello che però è certo – parafrasando Adam Smith, che ricordava che quando due o più persone che fanno la stessa professione si riuniscono assieme è per ideare qualcosa ai danni dei consumatori – è che l’attuale squilibrio di potere tra gruppi di pressione non ci garantisce nulla di buono sul fatto che importanti istituzioni siano effettivamente in grado di perseguire il bene comune e non interessi di parte.