Opinioni

Fili sottili nel Niger. Sedici mesi fa il rapimento di padre Maccalli

Mauro Armanino venerdì 17 gennaio 2020

Il rapimento di Pierluigi Maccalli, missionario, è cominciato nel 2015. Il 16 e 17 gennaio di quell’anno bruciavano le chiese di Zinder, prima capitale del Niger, e poi quelle di Niamey, la capitale attuale. C’è un sottile filo rosso che lega i due avvenimenti, un filo di fuoco, che si annoda con quello di sabbia.

Ed è questo filo immateriale e reale che congiunge e lega gli anniversari muti di questo giorno. Erano quelli i giorni di 'Charlie Hebdo', del presidente del Paese che, con molti altri, affermava 'io sono Charlie', partecipando poi alla marcia di Parigi convocata dall’allora presidente francese François Hollande. Decine di luoghi di culto e simboli occidentali venivano incendiati e varie persone persero la vita nei disordini occasionati. Si trattava ufficialmente di 'vendicare' l’offesa perpetrata alla fede con la nota caricatura del Profeta dell’islam. Le reazioni all’accaduto furono praticamente inesistenti. Il governo, scusandosi per la mancata protezione degli edifici di culto, promise di contribuire alla ricostruzione o riparazione delle chiese.

Quanto alla società civile, compresa quella più avanzata, si limitò ad alcune deboli dichiarazioni di condanna e di blanda solidarietà. Tra la gente comune, parte della quale sinceramente addolorata per l’accaduto, rimase la sorpresa ma anche la quasi giustificazione per una distruzione annunciata dal clima intimidatorio orchestrato dagli imprenditori della violenza e della divisione. L’impunità si installò in città con relativa facilità e a poco valsero i pochi accenni di compassione delle autorità. Proprio in quel momento il filo rosso, un filo di fuoco intrecciato di sabbia incominciò a tendersi verso l’altro avvenimento. Proprio con quel filo i rapitori hanno legato, il 16 settembre 2018, Pierluigi.

Un filo di sottile che, dall’impunità e le complicità delle chiese devastate, ha raggiunto le mani oranti perché indifese del missionario che era appena tornato da una settimana tra la sabbia del suo popolo. Nel cortile della missione, sempre tenuta in ordine, ora non c’è più nessuno a ricevere chi desiderava ascolto, conforto e una mano aperta per condividere il dolore. Una signora del posto che si occupa di bambini malnutriti diceva che il sequestro di padre Maccalli ha rappresentato la morte della comunità. Ha aggiunto che è sorpresa del non agire di Dio che, secondo lei, si limita a 'guardare'. Forse non ha notato che da Niamey, passando per Bomoanga, il villaggio del rapimento di Pierluigi, c’è un filo sottile che non è stato spezzato. Un filo di fuoco e di sabbia chiamato speranza.

Niamey, 17 gennaio 2020