IL DIRETTORE RISPONDE. Figli, mai usarli, mai abbandonarli
sono un affezionato lettore di Avvenire e anche se da ormai 8 anni vivo in Inghilterra, continuo a leggervi online e quando ritorno in Italia non dimentico mai di comprare l’edizione cartacea. Stasera (lunedì 26, ndr) sono sul treno tornando dal lavoro e sul tablet sto leggendo le ultime notizie su Andrea, il ragazzino di 15 anni che si è tolto la vita. Tanti aspetti importanti della vicenda mi hanno colpito, ma non riesco a capire il polverone mediatico che è scaturito a proposito della sua presunta omosessualità e se davvero il bullismo di natura omofoba subìto a scuola possa essere stata la causa del suo gesto estremo. Ai funerali quindi non potevano certo mancare i soliti paladini del movimento politico gay; al corteo di sabato alcuni insegnanti hanno addirittura chiesto più fondi per istituire corsi contro l’omofobia a scuola, insomma sembra che ognuno stia cercando in un modo o nell’altro di sfruttare questa tragedia tirando acqua al proprio mulino, facendo del giovane Andrea un "martire", ma per i propri fini.
Al chiasso mediatico si sovrappone quello degli amici che negano assolutamente la sua omosessualità, la mamma (attraverso l’avvocato) fa sapere che il figlio con lei aveva un rapporto meraviglioso, si potevano dire tutto e se fosse stato gay avrebbe potuto tranquillamente dirglielo.
Quello che mi inquieta però e tanto (come genitore di due bambini che sono nati e vivono nel Paese dell’<+corsivo>equality<+tondo_bandiera> dove qualsiasi commento omofobo su un social network è punibile con l’arresto), è che in tutto questo chiasso nessuno è riuscito ad intravedere la solitudine profonda di questo ragazzo.
Si, va bene, possiamo mettere i corsi sull’omofobia a scuola, ma ci siamo chiesti oggi come vivono i nostri adolescenti? Dov’erano le relazioni vere che Andrea da adolescente avrebbe dovuto coltivare a 15 anni? Era Facebook la sua realtà? Erano le pagine create per prenderlo in giro? Sono Facebook e gli altri social network la realtà relazionale dei nostri ragazzi? La mamma, così aperta e moderna, che oggi ha dichiarato di averlo costretto a mettere lo smalto in modo da impedirgli di mangiarsi le unghie? Quando io ero adolescente, come tutti gli adolescenti, ci sono stati periodi di crisi. Litigavo con i miei genitori (che non erano i miei migliori amici, erano i miei genitori e dovevano guidarmi al mondo reale nel rispetto dei rispettivi limiti). Litigavo con i miei compagni, non ero un disadattato, ero un adolescente alla ricerca della propria identità. Sia chiaro, non voglio demonizzare i social network, ma qual è l’uso (o abuso) che ne facciamo? Oggi è facile catalogare, giudicare; Andrea mi ha fatto ricordare il film "L’attimo fuggente"; con il protagonista Neil così meraviglioso, così estroverso e con un dolore così terribile dentro, insopportabile al punto di spingerlo a togliersi la vita in un attimo di disperazione.
Oggi, nel XXI secolo, ci dicono che possiamo essere i migliori amici dei nostri figli, controlliamo le loro pagine FB per dire che tutto va bene, ma poi, quando i problemi insorgono, aspettiamo che gli altri operatori si rendano conto del loro disagio. C’è qualcosa che la realtà virtuale non sostituirà mai, un adulto che sa ascoltare, un amico con cui confidarsi.
Abbiamo creato relazioni fluide che, anche se sono molto intercambiabili, ci lasciano tremendamente soli e hanno lasciato quel ragazzo in un assordante silenzio. Magari il sacrificio di Andrea ci potesse insegnare a guidare i nostri ragazzi ad avere relazioni più vere.
Edmondo Gallucci, lettore di Avvenire in UK