Opinioni

Denatalità. Fertility day, la libertà è generativa

Francesco D'Agostino venerdì 16 settembre 2016
L’iniziativa del Ministero della Salute per un "Fertility Day" ha provocato dibattiti molto accesi, che spesso sono sconfinati in poco composte forme di protesta e di sarcasmo, per la "qualità" delle iniziative grafico-pubblicitarie promosse (e sulle quali, forse troppo precipitosamente, Beatrice Lorenzin ha dichiarato di non avere difficoltà a fare marcia indietro). Lasciando da parte questi profili, davvero marginali, possiamo individuare alcuni punti cruciali che sono emersi da questi dibattiti. Il primo è che nessuno, o quasi, tra coloro che hanno criticato la ministra è arrivato a negare la gravità della crisi demografica che colpisce l’Italia e che è causata in massima parte dal volontario rinvio della decisione di concepire, che ha portato l’età media in cui una donna ha il suo primo figlio oltre i trent’anni. Credo che sia la prima volta che su questo punto, davvero essenziale, non abbiamo sentito ripetere le affermazioni insulse, andate di moda fino a ben poco tempo fa, quelle di chi continuava ad invitare gli italiani a non preoccuparsi del calo demografico, che si sarebbe potuto fronteggiare grazie alla procreazione assistita o ai flussi immigratori.In effetti, basta un minimo di ragionamento per capire che la fecondazione artificiale non può, per la sua invasività, per l’altissimo numero di insuccessi, per i suoi costi, che restare una prassi statisticamente marginale. Ancora più semplicistica e ingenua l’ipotesi che il posto degli italiani "non nati" possa essere stabilmente occupato da immigrati: è impossibile per qualsiasi Paese, e per l’Italia in particolare, mantenere o semplicemente proteggere la sua identità storica, artistica, culturale, religiosa ed economica, quando si trovi nell’arco di poco decenni a essere abitata, in alta percentuale, da stranieri portatori di tradizioni belle e rispettabili, ma anche radicalmente diverse. L’immigrazione, se ha come finalità l’integrazione e non il mero sfruttamento degli immigrati, ha bisogni di tempi lunghi per realizzarsi e il crollo demografico non la favorisce, ma paradossalmente ne amplifica la problematicità. La questione, insomma, non solo è reale, ma ormai urgentissima e finalmente sembra che da tutte le parti ci si sia convinti di questa verità. Viva il "Fertility Day", quindi? È giusto esortare le italiane a fare figli e soprattutto convincerle a non rimandare la decisione di diventare madri, facendo violenza alle indicazioni dell’«orologio biologico»? Niente affatto, dicono i critici della ministra. Da una parte (e qui non hanno tutti i torti, come su questo giornale è già stato ricordato da Massimo Calvi) sostengono che il fatto che le donne facciano meno figli dipende anche da condizionamenti sociali, che nessuna campagna ministeriale è in grado di alterare. Dall’altra, però, interpretano l’iniziativa di Lorenzin come un attentato alla libertà sessuale delle donne, come un’indebita intromissione nelle loro scelte procreative, che andrebbero considerate insindacabili e lasciate alla loro totale autonomia. E qui arriviamo al punto cruciale della questione. Questo argomento, che è dilagato nei giornali e nei media, mostra che non si riesce più a percepire come maternità e paternità abbiano un valore antropologico intrinseco e oggettivo (peraltro riconosciuto da tutte le culture e da tutte le tradizioni religiose).Divenire madri e padri non significa infatti rendere un cieco omaggio alla "natura" o soddisfare desideri personali e privati (per quanto rispettabilissimi). Significa piuttosto collocare se stessi nel contesto della famiglia umana, che è per sua struttura diacronica e generativa e la cui dimensione personale e affettiva ha certamente una radice fisico-biologica, ma ancor più possiede una vocazione che va coraggiosamente ritenuta come "metafisica".