Opinioni

Lo sbarco trionfale a Wall Street e il nostro genio. Ferrari, bellezza italiana

Alberto Caprotti giovedì 22 ottobre 2015
Da Maranello a Wall Street. Una parabola del genere non l’avrebbe immaginata nemmeno Enzo Ferrari. Uno che modesto non lo era mai stato. E che nella vita era abituato a vincere, convinto – come ripeteva spesso – che “il secondo è il primo dei perdenti”. Proprio per questo lo sbarco trionfale alla Borsa di New York contiene qualcosa di ancor più straordinario. E quasi di “eccessivo”, considerando la spasmodica corsa ad accaparrarsi le azioni di un marchio che nel primo, vero campo dove agisce e “lavora”, le piste di Formula 1, come costruttore non vince da sette anni. Esiste però un valore aggiunto che non si misura sul traguardo e neppure ha una cifra precisa nei bilanci. Si chiama immagine. Ed è un portafoglio di storia, credibilità e fascino difficile da costruire. E talvolta impossibile da eguagliare.  Quella della Ferrari, è una storia diventata leggenda: di splendide vetture sportive, di successi senza pari (anche se datati) nelle competizioni, di uomini eroici, di ricerca, di tecnologia, e di innovazione a 360 gradi. Ma per la terra che questa realtà l’ha generata, sarebbe ingeneroso dimenticare che una buona parte del suo successo dipende dal fatto che Ferrari sia un’icona globale del Made in Italy. «Chiedi a un bambino di disegnare una macchina, sicuramente la farà rossa...», amava ripetere il suo fondatore. E allora come oggi, Enzo Ferrari  aveva ragione. Ma nessun bambino forse la disegnerebbe così se quella macchina fosse nata a Taiwan o in Corea. E neppure in Danimarca – patria del Lego, il marchio più “potente” al mondo secondo l’ultima classifica di Brand Finance – che vince con i suoi straordinari mattoncini di plastica ma non ha le ruote, la velocità, il lusso, la tradizione e nemmeno il bello nel suo Dna. Almeno non quanto l’Italia, “marchio” che noi stessi siamo bravissimi a deprezzare con il mugugno, lo sconcerto e il fatalismo con cui la cronaca di ogni giorno ci obbliga a reagire, mentre il resto del mondo finge solo di farlo. Irridendoci nelle barzellette, ma scegliendoci poi, sempre e per primi, quando si tratta di comprare.  Di recente Brand Finance ha misurato anche il “valore” degli Stati: con 1.300 miliardi di dollari l’Italia è risultata tra i più solidi, anche se vale la metà del Regno Unito e meno di un terzo della Germania. Intanto le esportazioni del Made in Italy sono cresciute del 7% nei primi nove mesi del 2015, e gli ordinativi dell’industria del 10%, con punte del 39% per i prodotti energetici. Artigianato, qualità, il classico “lavoro ben fatto” che ha dentro un’anima: questo vince, e non solo se si chiama Ferrari. Non è detto che la bellezza salverà il mondo, ma se questo Paese saprà ancora difenderla e coltivarla, la bellezza non potrà che giovarci.