Guerra e cibo. Fermiamo l'escalation dell'insicurezza alimentare
Ancora sull’«altra guerra» che si scarica sui Paesi poveri L’insicurezza alimentare non va confusa con la dipendenza alimentare. La dipendenza alimentare riguarda le nazioni e non è destinata a sfociare necessariamente in crisi alimentare. L’insicurezza alimentare riguarda le persone e i popoli e può dilagare anche in presenza di abbondanza produttiva. La dipendenza alimentare indica quanto una nazione deve ricorrere all’estero per procurarsi il cibo che non è riuscita a produrre internamente. L’insicurezza alimentare è l’incapacità dei singoli individui di procurarsi il cibo o perché non se ne trova, o perché non si hanno i soldi per comprarlo.
E proprio a causa del fatto che l’insicurezza alimentare può avere questa doppia causa, si possono avere varie combinazioni possibili: Paesi autosufficienti con alta insicurezza alimentare; Paesi a forte dipendenza alimentare con scarsa insicurezza alimentare; Paesi a forte dipendenza alimentare con alta insicurezza alimentare.
A determinare un esito o l’altro sono varie ragioni di ordine economico, politico, militare, ambientale. Il primo abbinamento (autosufficienza e alta insicurezza) ricorre più frequentemente nelle società fortemente disuguali. Tipico il caso dell’India esportatore netto di grano (ma non in questa fase critica) che registra al proprio interno 189 milioni di persone sottoa- limentate, il 13% dell’intera popolazione. Persone che soffrono la fame non perché trovano i negozi vuoti, ma perché non hanno abbastanza soldi per comprare il cibo di cui hanno bisogno. Il secondo abbinamento (forte dipendenza e scarsa insicurezza) si ritrova in tutti quei Paesi che pur avendo rinunciato, per motivazioni economiche, territoriali o demografiche, all’autosufficienza alimentare, si sono organizzati per garantirsi condizioni di sicurezza alimentare stipulando accordi di forniture regolari con i Paesi esportatori e allestendo meccanismi interni che permettano anche ai più poveri di ottenere il cibo di base.
Alcuni esempi sono l’Algeria, la Tunisia, l’Egitto. Il terzo abbinamento (forte dipendenza e alta insicurezza) riguarda quei Paesi che pur avendo come obiettivo l’autosufficienza alimentare, si trovano nell’impossibilità di perseguirla per ragioni contingenti avverse, come l’infuriare di conflitti armati o il verificarsi di eventi meteorologici di particolare gravità. Secondo la Fao, in questa condizione si trovano 53 nazioni per un totale di 213 milioni di persone, in gran parte residenti in Africa dove quest’anno si registra una diminuzione di raccolto cerealicolo del 2,2% in rapporto al 2021.
Fra i Paesi più colpiti quelli del Sahel: Niger (-3,7%) Mali (-15%), Burkina Faso (-10%), Ciad (-9%). Riduzioni importanti che provocheranno un assottigliamento precoce delle riserve di cibo in famiglie che praticano l’autoproduzione. Solo i rifornimenti provenienti dall’esterno potranno compensare il deficit alimentare locale, ma non sarà facile organizzarli viste le tensioni militari presenti nell’area e la mancanza di infrastrutture viarie. Elementi di difficoltà che si tradurranno inevitabilmente in un aumento dei prezzi peggiorando ulteriormente le possibilità di approvvigionamento delle famiglie che vendendo poco hanno anche pochi soldi in tasca. Per molti nuclei non rimane altra scelta se non l’abbandono delle proprie case.
Fra la Nigeria e il Ciad già si registrano cinque milioni di sfollati, con ripercussioni anche sui pastori che a causa della prolungata siccità sono costretti ad anticipare le proprie transumanze aprendo un altro motivo di contenzioso con i contadini che praticano l’agricoltura. Il blocco del grano ucraino nei porti del Mar Nero e il braccio di ferro tra sanzioni occidentali e controsanzioni russe (la Federazione Russa ha, proprio in questa terribile stagione, una superproduzione cerealicola) sta trascinando Paesi tradizionalmente dipendenti dall’estero nell’insicurezza alimentare e minaccia di portare i Paesi già colpiti da insicurezza alimentare nella catastrofe umanitaria.
Gli ultimi dati Fao rivelano che 116 milioni di persone sono già in situazione di grave crisi alimentare, di cui 31 milioni in stato d’emergenza e 330 mila in catastrofe umanitaria. Solo il cessate il fuoco e l’avvio di negoziati di pace possono evitare questa drammatica escalation di insicurezza alimentare. Due obiettivi da sostenere insieme. E un motivo in più per far sentire la voce di chi non si rassegna alla guerra.