Opinioni

L'analisi. Fermata la scalata sovranista. Strasburgo cerca un'alleanza

Andrea Lavazza martedì 28 maggio 2019

La scalata sovranista all’Unione europea non è riuscita, ma avere fallito la conquista della cima non significa che per l’Assemblea Ue uscita dalle urne del 26 maggio e la legislatura che si apre in luglio saranno cinque anni come gli altri. Ciò che è nuovo, almeno in questa fase, è che le molte differenze tra le principali famiglie politiche sono scolorate con il loro apparentamento nel campo europeista, quasi fossero un fronte unitario teso a difendere lo spirito europeo e le istituzioni comunitarie dall’assalto di coloro che all’Europa vorrebbero togliere poteri e iniziativa, per ridare spazio e forza alle 'patrie' che la costituiscono. Questa lettura semplifica un po’ troppo, eppure potrebbe trovare concretizzazione in una maggioranza a tre, fra popolari, socialisti e liberali. Una grande coalizione, si direbbe a livello nazionale, un’alleanza fra partiti che ideologicamente dovrebbero essere alternativi e, in effetti, nelle singole nazioni sono per lo più rivali (con eccezioni non rare, per la verità).

Le forze che in prospettiva europea diremmo anti-sistema hanno ottenuto i 112 deputati che provvisoriamente sono collocati nei due gruppi più a destra nell’emiciclo – Enl, Gruppo Europa delle Nazioni e della Libertà, e Efdd, il Gruppo Europa della Libertà e della Democrazia diretta – dove si trovano Salvini, Le Pen e Farage (quest’ultimo con la prospettiva di rimanervi per quattro mesi fino alla Brexit di ottobre). Si tratta del 15% dei seggi, corrispondenti in un sistema proporzionale puro a circa il 15% dei voti espressi dai cittadini dei 29 Paesi che si sono recati alle urne (o hanno mandato la loro scheda per posta) da giovedì a domenica. Tanti o pochi, dipende ovviamente dai punti di vista.

Certo, non la trionfale avanzata che qualcuno auspicava. Potrebbero ora cercare di pesare di più costituendo un raggruppamento unitario, come proposto dalla leader francese, che diverrebbe il terzo più numeroso nell’Assemblea. Con il destino di rimanere per lo più in posizione di rumorosa opposizione ed essendo, tuttavia, in posizione di capitalizzare tutti gli errori altrui e il conseguente malumore dell’opinione pubblica.

La geografia sovranista restituisce una mappa variegata, ma non è un mistero che alcuni deputati pesino più di altri. Se gli eurocritici radicali non sfondano, hanno punte comunque di forza che è difficile sottovalutare. In Francia, Marine Le Pen, con il suo Rassemblement National, ottiene un simbolico primato nei consensi; in Italia, la Lega di Salvini è di gran lunga il primo partito. Che due dei Paesi fondatori dell’Europa abbiano premiato formazioni fortemente ostili verso le attuali politiche di Bruxelles e i progetti di maggiore integrazione è un elemento con cui fare i conti, anche se in un caso si tratta di un partito di opposizione. C’è poi l’ungherese Orbán, che ottiene in casa il 52% e fa storia a sé: il suo Fidesz formalmente aderisce al Partito popolare, da cui attualmente è sospeso. Gli altri partiti dell’internazionale populista, tuttavia, arretrano, come Wilders in Olanda e i naziona-listi danesi e finlandesi, mentre in Belgio va registrato l’exploit di nazionalisti fiamminghi ed estrema destra.

Il giorno dopo si può allora ragionare di un “effetto Greta”, visto che le elezioni europee 2019 vedono due fenomeni rilevanti, che non è sbagliato probabilmente attribuire al voto dei giovani, molti dei quali ogni venerdì si mobilitano nelle piazze continentali sull’esempio della sedicenne svedese. In primo luogo, l’aumento, imprevisto, dell’affluenza alle urne, con il 51% su base continentale, + 8% rispetto al 2014, un dato che riporta a vent’anni fa e che inverte una tendenza al disinteresse verso le urne Ue che proseguiva da tempo. In secondo luogo, l’affermazione dei Verdi, dalla Germania all’Irlanda fino alla Francia, con un travaso di voti dalla sinistra socialista o laburista e un cambio di focus, dalla questione sociale a quella ecologista. I Verdi restano la quarta forza (o quinta, se i sovranisti faranno blocco) nell’Assemblea, però dettano un’agenda che si fa sempre più ineludibile e che potrebbe caratterizzare la prossima legislatura. Entrambi i fenomeni – partecipazione e successo delle tematiche ambientali – potrebbero essere un effetto reattivo, una risposta all’offensiva anti-europeista. Per questo, vanno consolidati con uno sforzo di chi si definisce europeista a parole e deve dimostrarlo con i fatti.

Detto questo, aumenta la frammentazione dell’emiciclo di Strasburgo. Calano, non in modo drammatico e secondo le previsioni, i popolari, che cedono voti in Germania, dove Cdu/Csu resta primo partito ma non può esultare del suo 28%, peggiore risultato degli ultimi anni. S&D, i socialisti, arretrano più vistosamente, con l’eccezione “latina” di Spagna, Portogallo e anche Italia (rispetto alle previsioni, anche se il Pd porterà meno deputati rispetto al 2014). I liberali di Alde&R diventano terza forza grazie al- l’apporto del partito di Macron, En Marche. Queste tre forze insieme raggiungono il 58% dei seggi, una maggioranza confortevole che potrebbe essere l’esito delle trattative, non facili, per individuare un presidente della Commissione Ue e, a cascata, i candidati alle altre posizioni chiave dell’Unione e delle sue istituzioni.

Il Ppe, ancora primo gruppo, non vuole cedere e rilancia Manfred Weber, ma il compromesso potrebbe rilanciare figure di peso come il socialista Frans Timmermans e la liberale Margrethe Vestager. I l risultato del voto 2019, in definitiva, consegna un quadro sufficientemente confortante di un’Europa più parte- cipe e impegnata, che non è davvero tentata dal sovranismo a livello continentale. Ma il campanello d’allarme è suonato. Se alla sfida si è avuta una positiva risposta dei cittadini, quello che ora serve è una azione concreta, propositiva e ben comunicata del nuovo Parlamento. Sarebbe superficiale sostenere che l’Assemblea uscente non ha lavorato o lavorato male. Ogni passo falso, tuttavia, sarebbe un regalo a tutti coloro che altro non aspettano per cannoneggiare quell’Europa in cui tanti giovani hanno invece dimostrato di voler credere.