Gli appelli di Mattarella e Bagnasco. Fermare i picconi, ricostruire la fiducia
Devono far riflettere, e molto, a tutti i livelli, i richiami alla fiducia reciproca e all’unità del Paese pronunciati sabato dall’arcivescovo di Genova, cardinale Angelo Bagnasco e dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, durante e dopo il rito funebre di molte delle vittime del Ponte Morandi. Devono far riflettere perché il grande ponte da ricostruire in Italia è proprio quello della fiducia e dell’unità di intenti, picconato costantemente negli ultimi decenni dalla cultura del sospetto reciproco e dalla pratica che ha eletto a sistema la tela di Penelope: gli uni a disfare (quando non addirittura a demonizzare) quanto fatto in precedenza dagli altri (e viceversa), in un perenne e alla fine inconcludente ricominciare sempre daccapo. Pensiamoci bene. È la fiducia reciproca il vero motore delle nostre esistenze.
Un 'cavalcavita' prima ancora che un 'cavalcavia' gettato sopra il baratro dei passaggi difficili di ogni singola giornata. È un atto di fiducia salire su un taxi o su un aereo (fiducia nel fatto che il tassista sia perfettamente sobrio e che i controlli su quel velivolo siano stati fatti bene), è un atto di fiducia consegnare la propria salute a un medico o anche solo sedersi alla tavola di un ristorante (fiducia che quel medico sia preparato e che quel ristoratore rispetti palato e igiene). E via via più su, dalla politica, alle istituzioni, all’economia (in fondo si basano sulla fiducia persino i tanto vituperati, e non sempre a torto, 'mercati'), fino a giungere alla perfetta manutenzione delle infrastrutture che usiamo quotidianamente per viaggiare, lavorare o semplicemente per il nostro tempo libero. In una parola, per vivere.
La stessa fiducia (tradita) che i 43 morti e i 13 feriti di Genova avevano riposto nella perfetta tenuta del ponte poi sbriciolatosi sotto di loro. Perciò è chiaro che insieme a quelle campate mozze vada ricostruito un clima complessivo che come un pilastro, anzi come una serie di pilastri e di tiranti, deve sostenere lo sforzo di rinnovata coesione dell’Italia intera. Quando invece, come si è fatto da ultimo, si insiste solo sulla corruzione della classe politica (che per carità nessuno nega ci sia stata, in strati più o meno larghi della stessa) come se fosse un’equazione matematica, quando ci si oppone con sistematica determinazione a nuove opere pubbliche perché «tanto, sono solo mangiatoie di soldi pubblici», quando si definiscono «favolette» gli avvertimenti lanciati da tecnici e avversari politici (salvo poi stracciarsi le vesti quando le «favolette» diventano tragiche realtà), quando gli amministratori pubblici tengono di più all’interesse di parte che al bene comune, quando la vita è vilipesa fin dal concepimento, quando si perpetuano sprechi e incuria, quando da parte di certe aziende si privatizzano gli utili e si statalizzano le perdite, quando si grida all’invasione degli 'stranieri' senza che i numeri lo giustifichino, quando si spargono a piene mani i semi dell’insicurezza pur in presenza di una diminuzione dei reati, quando si fanno dichiarazioni e scelte improntate più ad acquisire consensi che a risolvere problemi, quando si emettono sentenze preventive, quando si arriva persino a mettere in dubbio le evidenze scientifiche (come nel caso dei vaccini) e quando in tutti i dibattiti ci si divide nei palazzi come sui social in una perenne disputa da bar dello sport, la fiducia motore della vita sparisce dall’orizzonte per lasciare il posto ai populismi forieri di odio e paura. In tal modo però si pongono le premesse per il crollo non solo di un ponte, ma di un intero sistema-paese.
Il duplice invito di Mattarella e Bagnasco va invece nella direzione esattamente opposta. «Rinnovare la fiducia reciproca, consolidare la vicinanza», ha detto il cardinale di Genova, per «costruire nuovi ponti e camminare insieme». Che la necessaria ricostruzione del Ponte Morandi diventi dunque metafora e volano della più importante e complessiva ricostruzione di un clima di cooperazione nazionale.
Ognuno di noi può portare un mattone, ognuno può diventare pilastro o tirante. Lo dobbiamo a loro. Ai morti, ai feriti, agli sfollati, alle loro famiglie in sofferenza. Lo dobbiamo in definitiva alla nostra stessa umanità e all’Italia intera.