Un tema grande, una laica voce. Che cos'è un figlio (Saramago lo sa)
Scrivendo sui giornali, a volte s’insegna qualcosa, ma a volte s’impara. Da qualche giorno sto discutendo di quanto il figlio perde nella vita, se non ha la madre: lo perde nel momento in cui perde la madre, se questa muore, e allora lui entra nel lutto; ma lo perde nascendo, se la madre gli vien tolta, è una madre a pagamento, lo vende e sparisce, e allora la nascita è per lui un lutto. Sto discutendo con i lettori di tutto questo, e un lettore mi manda una pagina di José Saramago, che spiega il rapporto genitori-figlio: una pagina che non conoscevo, per mia colpa. Non amo Saramago. Ma questa pagina è bellissima. Specialmente utile in un momento in cui si torna a sostenere che essere laici o credenti mette sempre e necessariamente su posizioni opposte (Saramago parlava e scriveva di Dio e si diceva ateo). Preziosa per far capire molte cose di un tema assai dibattuto: cosa vuol dire avere un figlio.
«Figlio – dice Saramago – è un essere…»: dunque la sua esistenza non può venir regolata da un contratto commerciale, perché gli esseri non sono cose o prodotti, il loro destino non si stabilisce nel mercato. «Un essere che Dio ci ha prestato...»: non ce l’ha venduto o ceduto, non ne siamo proprietarî, non possiamo a nostra volta venderlo o cederlo, non è un bene effimero, è un nostro pari, possiamo soltanto educarlo e allevarlo, affinché ci subentri. «Ci ha prestato per fare un corso intensivo di come amare...»: il senso di ricevere un figlio è che dobbiamo amarlo, in una famiglia dove nasce un figlio cresce l’amore, perché all’amore di lui verso lei e viceversa si somma l’amore di ambedue e di ciascuno verso il figlio, che è un sentimento diverso, imprevisto, e la sua manifestazione cambia il corso e il senso della vita. Qualcuno ha scritto che fare un figlio significa consegnare un ostaggio alla vita.
In tal caso i genitori si sentono i custodi della vita dell’ostaggio, e sentono che devono proteggere e salvare quella vita prima della propria. «Come amare qualcuno più che noi stessi...»: il figlio appare per capovolgere i rapporti nella coppia e nella famiglia, arriva ultimo per essere il primo.
Ma padre e madre, amando il figlio più di se stessi, amano di più se stessi. Il figlio è un moltiplicatore, non un sottrattore. «Di come cambiare i nostri peggiori difetti per dargli migliore esempio...»: il figlio è un allievo, vorremmo che fosse migliore di noi, e non avesse i nostri difetti. Se noi abbiamo qualche difetto fisico, spiamo la crescita del piccolo nel terrore che quel difetto compaia. Se abbiamo qualche difetto caratteriale, spiamo i comportamenti del piccolo per scoprire se quel difetto si riproduce. Questo significa (dice Saramago) che non vorremmo avere quei difetti, e cerchiamo di eliminarli.
La nascita di un figlio migliora la coppia genitoriale. «Per dargli migliore esempio per apprendere ad avere coraggio»: l’istinto di padre e madre, appena sono padre e madre, è di apparire forti, protettori del figlio, coloro che danno coraggio e sicurezza. Il messaggio è: sei fortunato ad avere noi. Per ottenere questo, padre e madre nascondono la propria paura e la propria insicurezza. Il figlio piccolo deve sentire che padre e madre sono un porto, nel quale lui potrà sempre rifugiarsi, per fuggire alle tempeste. Il figlio piccolo che affonda la testa nel seno della madre, è la nave che getta l’àncora nel porto. La tempesta per eccellenza è la morte.
In Salvate il soldato Ryan, il marine americano, colpito a morte, s’abbandona tra le braccia dei compagni invocando la madre, come un bambino. Morirà con quel nome. «Sì. È questo! Essere madre o padre è il più grande atto di coraggio che si possa fare...»: perché significa voler ripetere la vita, non volere che finisca. Un popolo che fa figli è un popolo vitale. Non occorre avere tanti bonus e sussidi: l’Italia di ieri faceva tanti figli, l’Italia di oggi pochi. Eppure ieri era più povera. Ma era più contenta di vivere. «Dio benedica i nostri figli – conclude Saramago –, perché noi ci ha benedetto già con loro»: loro sono un premio. E un premio te lo devi meritare, non lo puoi comprare.