Fede cristiana, culto e azione di carità: davvero c’è qualcosa di solo «privato»?
Pastore Eugenio Bernardini moderatore della Tavola valdese
Apprezzo molto questa sua garbata e profonda replica, caro e reverendo pastore Bernardini. E mi scuso per aver dovuto inchinarmi allo spazio di questa pagina, riducendo un po’ le sue parole e ancor più la mia controreplica. Le sono grato perché vedo che, pur nella differenza di valutazioni, lei ha ben compreso che il titolo della risposta che avevo dato a un lettore emiliano («L’otto per mille e le “spese di culto”: il rischio di mettere i poveri contro Dio») ha reso in forma sintetica – e, aggiungo, problematica – un concetto più complesso e, infatti, accompagnato da distese argomentazioni. Per quel che vale, mi sento di ribadirlo, con mite convinzione e sincero rispetto per i fratelli valdesi. Nella visione a cui ho cercato di dare voce da semplice cattolico quale sono – e che è frutto anche nel mio caso di una concreta esperienza di Chiesa – la solidarietà verso i fratelli più poveri e fragili – la «carne di Cristo» – è atto di culto a Dio. Ecco perché non riesco a essere d’accordo con una comunicazione mediatica che separa, e di fatto contrappone, carità e culto. Vivo la nostra Messa (e penso, per la minima conoscenza che ne ho, il culto valdese e metodista) come Parola che si fa carne, appunto, e mensa comune; lo so luogo della presenza di Gesù nel segno della Croce, che è relazione verticale con Dio e apertura orizzontale, inesorabile, ai fratelli. Chiese, parrocchie, strutture diocesane non riesco neanche a concepirle come luoghi dove si soddisfano esclusivamente «particolari esigenze confessionali», ma come cantieri di fede, di speranza e di carità. Questo, da secoli, tra contraddizione e santità, continuano a essere dentro le comunità civili del nostro Paese e al servizio delle persone che le compongono.Ripeto tutto questo in dialogo con lei, gentile pastore Bernardini, non per idea astratta o per polemica, ma – insisto – per consapevolezza maturata attraverso una concreta esperienza di Chiesa. La stessa che non mi permette di considerare i sacerdoti cattolici come gestori di una “funzione privata” e da sostenere, per così dire, privatamente: il cristianesimo non è fatto privato e privatizzabile e la Chiesa di Cristo – che pure «non è una Ong», come ci ricorda spesso papa Francesco – non fa del sagrato o, ancor prima, della sagrestia un confine, ma anche da lì irradia un’azione di bene che evangelicamente non fa e non può fare distinzioni confessionali e che non mi è mai parso decisivo valutare col metro della «laicità» che, pure, su altri piani apprezzo. Credo, per esempio, che a proposito dell’8 per mille sia utile una laica trasparenza nella destinazione dei fondi democraticamente assegnati da noi cittadini nell’annuale “votazione” in occasione della dichiarazione dei redditi. E sono lieto che la mia Chiesa cattolica la persegua, come la Chiesa valdese.Sono questi i motivi per cui non «mi suona proprio» un messaggio sintetico e a effetto (gli slogan da spot, del resto, somigliano ai titoli di giornale…) come quello di cui discutiamo. Detto questo, sono grato a Dio di vivere una stagione di «riscoperta fraternità ecumenica», per usare la sua espressione, e di veder nascere belle ed efficaci iniziative comuni come quella che valdesi, evangelici e cattolici (la Comunità di Sant’Egidio, che ha messo in rete anche diocesi di tutta Italia oltre alla Comunità Papa Giovanni XXIII) conducono assieme per aprire «corridoi umanitari» a servizio dei profughi dalla guerra e dall’ingiustizia. Quando si incontra Cristo lì dove ci ha dato appuntamento, ci si ritrova. Ricambio cordialmente il suo fraterno saluto.