I mercati dell’economia globalizzata non conoscono e non praticano la virtù della beneficenza. E quando gli squali della speculazione internazionale cominciano a fiutare l’odore del sangue, diventa ogni volta più difficile sottrarre le possibili vittime alle fauci dei predatori. Gli indicatori economici e finanziari registrati ieri, ultimo giorno di un ottobre
horribilis per il nostro Paese, suggeriscono pertanto amare riflessioni sull’inutile - speriamo non dover mai scrivere esiziale - trascorrere delle ore, nell’attesa tuttora frustrata che l’Italia metta in campo le scelte necessarie a costruire una credibile rete di sicurezza attorno ai suoi conti e, di conseguenza, al destino economico dei suoi cittadini, della tanta parte sana della sua economia e della sua società.Nell’arco di mezza giornata abbiamo inanellato record a catena nei differenziali che il Tesoro deve pagare sui titoli pubblici. Le statistiche ufficiali hanno scodellato nuove preoccupanti cifre sui fronti dell’inflazione e della disoccupazione giovanile, due indici che "mordono" a fondo la vita concreta delle famiglie. A Piazza Affari, infine, la borsa ha completato l’ennesimo scivolone al ribasso. Contemporaneamente, nuovi moniti internazionali sono stati lanciati verso la Penisola da voci autorevoli di Paesi amici (l’ambasciatore americano a Roma e il ministro delle Finanze tedesco sono stati solo gli ultimi), per chiederci di «passare dalle parole ai fatti».In questo scenario tambureggiante di segnali allarmati e di crescenti dubbi sulla nostra affidabilità, ciò che più preoccupa è proprio la scarsa attenzione al "fattore T". Chiediamocelo infine: quanto tempo c’è ancora a disposizione? Quale margine effettivo ci rimane, prima che la tendenza al peggioramento raggiunga il
no return point, il limite, cioè, oltrepassato il quale non si potrà più risalire la china, se non pagando prezzi sociali e umani intollerabili? Come dare torto, allora, a un banchiere solitamente sobrio e prudente come Giovanni Bazoli, che ieri ha definito gli attuali spread insostenibili, non solo nel medio ma anche nel breve periodo?Eppure il quadro di riferimento appare sufficientemente chiaro. L’Italia, insieme agli altri 26 Paesi dell’Unione, ha messo nero su bianco precisi e rigidi parametri di riferimento per le decisioni che dobbiamo prendere. Ma tutti sanno - gli speculatori per primi - che il trascorrere inutile dei giorni rende il raggiungimento di quei parametri via via più costoso. Anzitutto in termini di credibilità: è un po’ come spingere i "boomakers" ad abbassare le nostre quotazioni, penalizzando chi vorrà ancora scommettere sul nostro successo.Tra due giorni un altro cruciale appuntamento attende i leader delle venti principali potenze economiche a Cannes, dove il G20 metterà insieme i detentori del 90 per cento del Pil mondiale. Nessun dubbio che il "caso Italia" resterà al centro dell’attenzione generale, forse non come il principale, ma certo come uno dei più delicati fattori di rischio di tenuta degli equilibri finanziari internazionali. È molto probabile che in quella sede risuonino nuovi ammonimenti a far presto e bene e a non sperare di poter lucrare "sconti", magari nell’illusione che gli altri "Grandi" saranno costretti a salvarci per non farsi male a loro volta.Sarà opportuno che, in casa nostra, si eviti di entrare nel solito giochino delle minimizzazioni (di maggioranza) e delle enfatizzazioni (di opposizione). Ma sarà indispensabile soprattutto tornare dalla Costa Azzurra con la consapevolezza che ogni giro d’orologio compiuto inutilmente sarà un altro colpo alle nostre possibilità di rimetterci in carreggiata. Di questo, stando alle ultime voci che filtrano da Palazzo Chigi, sembra ci sia crescente consapevolezza. Al punto di meditare una riunione previa di governo, per dare il segnale di partenza alla necessaria fase di attuazione legislativa. Sarebbe il miglior biglietto da visita da presentare al "supervertice" di giovedì.