È bastato che dal cielo dell’Italia s’allontanasse la cappa della 'Grande Paura' per far riprecipitare nel buio la politica di casa nostra. Nella preparazione e nel dibattito sulla manovra-bis sono emersi soprattutto tanta improvvisazione, molta navigazione a vista, addirittura qualche accenno di schizofrenia. A luglio non andò così. Il crollo dei mercati, accompagnato da uno
spread (il differenziale tra i titoli del debito italiani e tedeschi) schizzato improvvisamente sopra quota 400 punti, produsse un’accelerazione senza precedenti: in quattro giorni, con spirito costruttivo, venne approvata dal Parlamento una imponente manovra triennale. Oggi siamo davanti a un altro, immediato e pesante intervento sui conti, ma lo spettacolo è tutt’altro: desolante.Gli italiani capiscono di essere nel mezzo di un passaggio complicato e temono di doverlo affrontare senza punti di riferimento credibili. Quasi in balìa degli eventi e della non-strategia del 'giorno per giorno'. In un’emergenza politico-economica che forse non ha ancora mostrato il volto più drammatico, abbiamo assistito all’accavallarsi di eventi che hanno 'marchiato' una settimana surreale. È il capo dello Stato ad aprirla con saggezza. Additando l’«angoscioso presente», invocando responsabilità e scelte lungimiranti e «immediate». Per sette giorni, invece, di decisioni non c’è traccia. La politica, ancora una volta, ha mostrato il volto peggiore: una maggioranza Pdl-Lega incapace di fare sintesi e di presentare un progetto organico e condiviso; la principale opposizione, il Partito democratico, 'rea' di rinunciare a dare un contributo realmente costruttivo inventando una contromanovra tesa quasi solo a sottolineare l’inadeguatezza del premier.Il film è ricco di immagini desolanti e i protagonisti non frequentano solo il Parlamento. Perché il sindacato, ancora e sempre diviso tra le accelerazioni solitarie della Cgil e il farsi carico della Cisl e della Uil, non riesce a dare una risposta unitaria e responsabile nemmeno in un’occasione così grave? Perché la Fiat sfida il governo chiedendo se «l’Italia vuole ancora fare automobili» e sembra non tener conto dei «sacrifici» già fatti dai lavoratori dell’azienda? Tutti ripetono che la crisi può mettere definitivamente in ginocchio il Paese, ma nessuno dice con chiarezza che cosa dobbiamo fare per salvarlo, perché e per quanto tempo. Tanti invocano responsabilità e lungimiranza, ma nessuno rinuncia a servirsi della crisi per rivendicare i propri spazi d’azione.Persino i calciatori, a quanto pare terrorizzati dall’idea di pagare un contributo di solidarietà, proclamano il più assurdo degli scioperi dimenticando che anche il calcio, qui da noi, vive al di sopra delle proprie possibilità. La crisi di questi giorni proietta l’immagine di un Paese su cui è complicato fare affidamento. Un Paese senza una forte coesione sociale, troppe volte tentato di trincerarsi dietro il fatalismo. È un’immagine parziale e sbagliata, ma viene presa per buona. Anche dai mercati. I danni sono devastanti. Come devastanti sono i numeri. Nell’opinione pubblica monta lo scoramento. Manca lo scatto, l’indicazione di una via difficile ma utile, uno sguardo davvero largo. L’immagine è quella di un’Italia piegata, ferma, incapace di reagire. E che aspetta l’ennesimo vertice di Arcore tra Berlusconi e Bossi e l’ennesima «parola finale» di due leader stanchi. Il dato di novità è il mettersi seriamente in gioco di Angelino Alfano e di Roberto Maroni. Per loro e per i capi delle opposizioni è il momento della verità e della credibilità. Non mancano modelli a cui ispirarsi. Possono riflettere, ad esempio, sull’intesa in Spagna tra il premier socialista José Luis Zapatero e il leader del Partito popolare Mariano Rajoy: hanno firmato insieme la proposta di riforma costituzionale per la revisione del deficit. E lo hanno fatto a tre mesi da delicatissime elezioni.Non è proprio possibile da noi il segno di svolta responsabile? Un esempio? La condivisione di regole e misure che sostengano le famiglie con figli, un rafforzamento (e un cambio di mentalità) della lotta all’evasione fiscale. Alfano e Maroni sembrano, in queste ore, i protagonisti della mediazione sui contenuti della manovra-bis. Allora con Pier Ferdinando Casini (in campo con spirito costruttivo dalla prima ora) e Pierluigi Bersani (se deciderà di accettare la sfida) ci provino sul serio. Perché l’Italia non può e non deve abbandonarsi all’idea del declino. Servono farmaci forti perché gli italiani tornino a fidarsi della politica, a stimare il sindacato e affidarsi alle imprese. Oggi non stimano, non si affidano e non si fidano.Ma non è una condanna irrevocabile. Non ancora.