«Ho 15 anni e vedo il mondo andare a rotoli. Diamo la colpa a politici, banchieri... Io sono sicura che la colpa invece è nostra. Ci arrabbiamo per cose futili, piuttosto che farlo per cose importanti. E sono davvero arrabbiata... ognuno di noi sta gettando al vento le proprie speranze, si parla di crisi, recessione, denaro, potere, quando la gente avrebbe bisogno di sentir parlare un po’ più di amore. Ci stiamo sottomettendo come animali in cattività, ci scanniamo l’un l’altro, non siamo più consapevoli dei nostri diritti e ci riesce facile dare la colpa ad altri. Come mai riusciamo a dare la nostra fiducia a fantocci che appaiono in tv e non riusciamo a voler bene alle persone che ci sono accanto? Abbiamo pregiudizi, che ci avvelenano, ci distruggono. Quello di cui ho bisogno adesso forse sono parole di conforto, qualcuno che mi dica che andrà tutto bene e invece trovo soltanto persone che si rassegnano, che credono che la situazione potrà solo peggiorare. Probabilmente sarà così ma, caro Alessandro, io le mie speranze non le mollo. Lei cosa pensa che i giovani debbano fare per farsi valere? Odio la violenza e con questa manipolazione mediatica una manifestazione pacifica passerebbe inosservata. Conosco ragazzi con opinioni forti, che ogni giorno provano a farsi valere, siamo tanti, siamo arrabbiati, ci soffocano le grida in gola e nessuno ci ascolta: 'Tanto siamo solo ragazzi'. Cosa dobbiamo fare?» Cara F., la tua lettera mi giunge in un momento in cui anche io mi chiedo: cosa posso fare, posso ancora sperare, a che serve lottare tutti i giorni a scuola, scrivere, parlare? Anche io, a volte, ho la tentazione di mollare. Poi però puntuale arriva qualcuno a risvegliarmi dal torpore sottile e virulento del disfattismo.
In questo caso, insieme alla tua lettera, è stato il discorso di Benedetto XVI per la Giornata della Pace, nel quale dice che la questione è educativa e i veri protagonisti i giovani: «Vorrei dunque presentare il Messaggio in una prospettiva educativa: 'Educare i giovani alla giustizia e alla pace', nella convinzione che essi, con il loro entusiasmo e la loro spinta ideale, possono offrire una nuova speranza al mondo».
Come dici tu: dipende da te e me. Lasciamo perdere quel teatrino di fantocci e rimbocchiamoci le maniche tu e io: ci saranno due furbi in meno. Forse non risolveremo molto, e forse ci prenderanno anche in giro, ma almeno ci potremo guardare allo specchio, sereni.
Io voglio fare il possibile nello spazio che mi è dato adesso: a scuola, in famiglia, con gli amici, sui giornali, nei libri che scrivo. «L’educazione è l’avventura più affascinante e difficile della vita. Educare significa condurre fuori da se stessi per introdurre alla realtà, verso una pienezza che fa crescere la persona. Tale processo si nutre dell’incontro di due libertà: la responsabilità del discepolo, che deve essere aperto a lasciarsi guidare alla conoscenza della realtà, e quella dell’educatore, che deve essere disposto a donare se stesso. Per questo sono più che mai necessari autentici testimoni, e non meri dispensatori di regole e di informazioni; testimoni che sappiano vedere più lontano degli altri, perché la loro vita abbraccia spazi più ampi. Il testimone è colui che vive per primo il cammino che propone».
Vedi, qui siamo in gioco tu e io. Io provo tutti i giorni a donare me stesso in questa avventura, ed è faticoso, spesso fallimentare, ma so anche che la pienezza della mia vita viene proprio dal donarsi. Io li vedo quegli spazi più ampi, ma non in sogno, li vedo realizzarsi giorno dopo giorno.
S olo l’amore, che tu invochi, è forte come la morte: solo se io provo ad amare i miei alunni, i miei colleghi, le mie materie, riesco a sottrarre i miei alunni, colleghi, materie, alla morte a cui siamo tutti destinati.
E tu? «Anche i giovani devono avere il coraggio di vivere prima di tutto essi stessi ciò che chiedono a coloro che li circondano». La tua lettera è già un modo di farlo. Tu, F., non lasciare che quel grido ti si blocchi in gola, e comincia tu, nella tua scuola, nella tua famiglia, nel tuo quartiere, insieme ai tuoi amici.
È faticoso essere testimoni, F. A volte mi chiedo chi me lo fa fare, ma poi penso che ci sei tu: sei tu che me lo fai fare, e fosse anche solo per te, io ricomincio. E noi due saremo due «sentinelle che aspettano l’aurora» di un mondo nuovo che, nel nostro piccolo, avremo contribuito a lasciar crescere.
Senza violenza, ma unendo le forze, cambiando le cose dove possibile e prendendo anche qualche sberla. L’alternativa è dormire, F.: fregarcene. Ma che noia è la vita senza ricerca della verità, senza impegnare la libertà, senza lotta, senza Dio.