Fare e rifare armonia. Francesco e la giusta fatica degli Stati
Potrà sembrare strano che nel discorso forse più "politico" di ogni annata - quello che il Papa rivolge all’inizio di gennaio al Corpo Diplomatico - la cifra interpretativa principale sia di carattere artistico e la citazione più originale sia per un principe della pittura come Raffaello Sanzio, di cui proprio quest’anno ricorre il cinquecentenario della morte. Francesco ha infatti dedicato all’Urbinate un pensiero che possiamo assumere come "tavolozza dei colori" del grande affresco sulla situazione mondiale "dipinto" davanti ai rappresentanti degli Stati che hanno rapporti con la Santa Sede. «Come il genio dell’artista sa comporre armonicamente materie grezze, colori e suoni diversi rendendoli parte di un’unica opera d’arte - ha sottolineato infatti papa Bergoglio - così la diplomazia è chiamata ad armonizzare le peculiarità dei vari popoli e Stati per edificare un mondo di giustizia e di pace, che è il bel quadro che vorremmo poter ammirare».
Purtroppo, come si evince anche dalla preoccupata analisi papale, la realizzazione di quel quadro è ancora ben lungi dal suo compimento. Ma non per questo il discorso di Francesco è privo di speranza. Al contrario egli consegna alla comunità internazionale proprio la chiave di volta di questa speranza, declinando infatti la ricerca dell’armonia politica internazionale in almeno sei ambiti, tutti di vitale importanza per il futuro dell’umanità: armonia educativa, intergenerazionale e familiare, climatica, armonia tra le nazioni, all’interno degli organismi internazionali e infine (ma non per ordine di importanza) armonia tra uomini e donne, con la condanna di ogni violenza contro queste ultime.
Un mondo di giustizia e di pace, dice in sostanza Francesco, passa attraverso tali sfide che intercettano sia gli eventi di ogni giorno, sia le tensioni attualmente sul tavolo delle cancellerie. E così, ad esempio, armonia tra gli Stati non significa solo rinnovare l’appello a scongiurare «l’innalzamento dello scontro» tra Usa e Iran, ma anche a sostenere il processo di pace israelo-palestinese, a impegnarsi per l’allentamento della tensione in tutta l’area mediorientale e mediterranea (il cui mare resta «un grande cimitero»), a favorire il dialogo interreligioso (il Papa cita a tal proposito i suoi viaggi in Marocco e Abu Dhabi), a completare il disarmo nucleare, a mettere fine alla guerra in Siria, al conflitto dimenticato dello Yemen, ai disordini in Libia e, allargando ancor più lo sguardo, ad avviare processi di pacificazione in tutte le aree di crisi, anche in Africa e nell’America Latina ferita dall’acuirsi dei conflitti sociali.
È tuttavia da notare come, prima di giungere a questa parte del suo intervento, il Papa guidi gli interlocutori attraverso un approfondito sguardo a quegli altri tipi di armonia che abbiamo definito educativa, intergenerazionale e climatica. Non è solo una questione di tessitura del discorso, ma ben più sostanziale.
Francesco in pratica intende ricordare ai rappresentanti degli Stati che senza un’educazione sinfonica dei bambini e dei ragazzi (emblematico il suo rimando al «patto educativo globale » e al «villaggio dell’educazione»), senza un adeguato dialogo con i giovani e tra le generazioni (tema da sempre a lui caro), senza l’impegno di tutti per la custodia della «casa comune» con le sue ricadute sul piano degli accordi multilaterali (il sostanziale fallimento del Cop25 di Madrid, ricorda il Papa, «rappresenta un grave campanello d’allarme»), anche sinceri sforzi diplomatici per risolvere questo o quel problema, come pure l’azione degli organismi internazionali, rischiano di restare infruttuosi.
E non è casuale che a capo di ogni cosa egli ponga la sfida dell’educazione, attraverso la quale creare «una rete di relazioni umane aperte» e formare «persone disponibili a mettersi al servizio della comunità». Perché al fondo di tutto, suggerisce Francesco, il mondo sarà tanto più armonico, quanto più dipenderà dall’interazione tra uomini e donne capaci di servire la pace, lo sviluppo ecosostenibile, il bene comune. Allora sì che il futuro potrà davvero assomigliare a «un bel quadro». Dove il disegno complessivo, un po’ come avviene in certe opere d’arte contemporanee, altro non è che il mosaico di una miriade di volti. Quelli di un’umanità nuova perché finalmente riconciliata.