L'ospite. Emergenza umanitaria. Far finire la tragedia dei «campi» libici
Caro direttore,
la Libia, per più motivi, va tenuta in primo piano nell’attenzione internazionale e nazionale. Se infatti è stata salutata positivamente dall’opinione pubblica la netta diminuzione degli sbarchi sul nostro territorio, rimane aperto il problema della permanenza e del trattamento riservato ai profughi nei campi libici. Dobbiamo esigere che si faccia tutto il possibile, anche a fronte dei consistenti interventi economici assicurati dal nostro governo, per imporre attraverso organismi internazionali dei controlli finalizzati al rispetto dei diritti umani; obiettivo che si potrà raggiungere pienamente solo con la chiusura degli attuali campi e con la costruzione di luoghi che rispondano alla tutela della dignità umana.
A tal proposito ho chiesto al Governo, in una interrogazione, cosa intenda fare per togliere la gestione dei campi alle milizie libiche e assegnarla a organizzazioni internazionali sia dell’Onu sia non governative (Ong), e se esiste un calendario in proposito. È indispensabile l’ingresso di Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) e Acnur/Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) per garantire condizioni dignitose ai migranti che sono in questo momento dentro il Paese nordafricano. Il Governo italiano va sollecitato, perché eserciti un’adeguata pressione su Onu e Ue per un’azione più efficace e perché organizzi un sistema di 'corridoi umanitari' per le persone che hanno diritto allo status di rifugiato. La situazione con cui ci misuriamo richiama una precisa responsabilità della politica. Non basta accogliere, e per questo esistono numerose agenzie da quelle educative a quelle religiose, e la cultura stessa può fare la sua parte.
Coordinare tutto questo è compito della politica. E in particolare dei politici più favorevoli all’accoglienza dei rifugiati. Essi hanno il dovere di creare le condizioni perché l’accoglienza sia fatta con la prudenza necessaria, attraverso una concreta integrazione che risolva il problema di alloggio e lavoro, contribuendo a creare un contesto di sicurezza che possa rassicurare e ben disporre tutta la popolazione perché, come ha detto il Papa, «non si può chiudere il cuore a un rifugiato e gli Stati devono essere molto aperti a riceverli» e, insieme, fare «il calcolo di come poterli sistemare, perché un rifugiato non lo si deve solo ricevere, ma lo si deve integrare».
Se questo è vero per i Paesi di destinazione, a maggior ragione deve esserlo per quelli di transito come la Libia. La presenza internazionale nei campi profughi per il rispetto dei diritti umani deve procedere di pari passo con un’azione politica. Le speranze su un più efficace intervento internazionale sono riposte su quanto stabilito nel settembre scorso al tavolo della 72ª sessione dell’Assemblea generale Onu. In quella sede, l’inviato speciale delle Nazioni Unite nel paese africano, Ghassan Salamé, si è impegnato per accelerare gli accordi per il pieno ritorno in scena delle grandi organizzazioni umanitarie. Il problema, come sappiamo, sta nell’individuare l’interlocutore libico che possa assicurare un’efficace stabilizzazione.
Per questo è importante che accanto al primo interlocutore, cioè il governo di Tripoli di Fayez al-Sarraj, legittimato dall’Onu, si consideri anche la possibilità di coinvolgere nel processo di pacificazione e stabilizzazione della Libia il generale Khalifa Haftar, l’uomo della Cirenaica. L’Italia in tal senso può avere, e lo sta avendo, un ruolo importante. Si potrà aprire a quel punto un percorso, con tappe ben individuate che punti alla stabilizzazione e che passi anche per la sinergia tra Onu e impegno europeo e attraverso alcune modifiche all’Accordo nazionale sottoscritto nel dicembre del 2015 a Skhirat, in Marocco da 90 componenti della Camera dei rappresentanti di Tobruk e 69 deputati del Congresso nazionale di Tripoli (accordo che scadrà il 17 dicembre): l’adozione di una Costituzione ed elezioni politiche. Auspicabile sarebbe anche una missione Onu ai confini meridionali del Paese e il perdurare dell’impegno italiano con le tribù del Fezzan, Tebu e Tuareg, unito alla formazione della Guardia Costiera. Ciò che non è più accettabile è il traffico e la detenzione di esseri umani in Libia; e l’attenzione internazionale non può calare.
*Deputato del Pd