Opinioni

L'islam e la sfida della modernità. Il fiato corto del fanatismo

Riccardo Redaelli lunedì 19 maggio 2014
​«La ikra fi-l-din»: nessuna costrizione nelle materie di fede. Per i musulmani lo afferma Dio stesso, rivelandolo a Maometto. La frase è contenuta nella seconda sura del Corano (la "sura della Vacca") e su di essa gli esegeti islamici hanno riflettuto e dibattuto per secoli. Il profeta dell’islam stesso, recita la tradizione, si rifiutò di intervenire su due figli cristiani di un suo seguace, per forzarli alla conversione. Poi, come accade spesso nelle religioni, l’interpretazione ha fatto prevalere una prassi molto più rigida e intollerante. Il caso di Meriam è infatti solo l’ultimo di una lunga serie di cristiani imprigionati e condannati a morte nel mondo islamico. Probabilmente dopo le mobilitazioni internazionali in corso, a questa giovane sposa e madre sarà risparmiata la pena di morte. Ma la sua vita è comunque tragicamente segnata: se anche sfuggisse a una nuova condanna, sarebbe probabilmente costretta a fuggire dal Sudan per evitare le vendette degli integralisti. E, molto probabilmente, anche se continuiamo a sperare che non sia così, le saranno tolti i figli: il piccolo di venti mesi in carcere con lei e quello che ancora custodisce nel ventre. La sua tragedia riecheggia quella delle centinaia di giovani nigeriane rapite recentemente dai terroristi fanatici di Boko Haram, ridotte in schiavitù e forzate alla conversione.Uccidere e usare violenza in nome di Dio è una maledizione che ha colpito da sempre gli esseri umani. Lo sappiamo bene, purtroppo, anche noi cristiani. Tuttavia, il progredire della storia e, per quanto ci riguarda, il radicarsi della sapienza evangelica ha portato l’uomo a sviluppare una maggiore empatia verso i suoi simili, a condannare la tortura, a fermare la mano del boia e a limitare la violenza "legittima". Ci ha insegnato la tolleranza e il rispetto della diversità. Del resto in un mondo globalizzato e interdipendente è l’unica via per evitare che nelle nostre città cosmopolite e plurali esplodano nuove violenze contro l’altro, il diverso da noi. È l’umanità stessa che si fa meticcia, si fonde e si mischia.In questo scenario nuovo, appare impensabile e intollerabile pensare di usare ancora il metro di mille e più anni fa per giudicare i rapporti fra le religioni. Intollerabile uccidere l’«apostata» o la donna che si innamora di un uomo di fede diversa. Ributtante rapire e convertire a forza, perché spaventati dall’idea che le donne – oltre che essere madri e serve – possano anche saper leggere e scrivere. Il fanatismo e la violenza religiosa sono una piaga che il mondo islamico deve affrontare. E le sue autorità religiose devono avere il coraggio di opporsi a un’interpretazione dogmatica e stereotipata, spesso imposta dai gruppi più radicali. È tempo – lo constatiamo ancora una volta – che anche l’islam, in particolare quello sunnita, affronti il nodo della libertà religiosa negata; problema che stride sempre più con la condizione umana.E che rischia di alimentare gli stereotipi, anch’essi falsi e parziali, che alimentano il razzismo e le ossessioni anti-islamiche in Europa e in tutto l’Occidente. Ma tranne poche voci sembra che nel mondo islamico prevalga una prudenza estrema, per non dire una reticenza vera e propria. Anzi, il vento del salafismo e del radicalismo soffia impetuoso in tutto il mondo islamico, purtroppo alimentato e finanziato da alcuni nostri "amici" e alleati del Golfo, Arabia Saudita fra tutti.Un vento che infetta le comunità islamiche e avvelena i rapporti fra sunniti e sciiti, fra musulmani e cristiani orientali, fra maggioranza islamica e minoranze religiose. Troppi dotti e religiosi musulmani, dinanzi alle sfide che la convivenza tra diversi, il moderno fiorire di opportunità e alcune squassanti vertigini impongono a tutte le religioni, si rifugiano nell’interpretazione letterale e nella tradizione più chiusa. Ai loro occhi non è l’islam che deve confrontarsi con la modernità, ma la modernità che deve farsi islamica.È tempo di dire loro con sempre maggior forza, rifuggendo le prudenze pilatesche del multiculturalismo senza codici comuni condivisi, che si tratta di una scelta sbagliata. E che uccidere e anche solo processare una giovane madre colpevole solo di aver sposato un uomo che condivide la sua fede in Cristo, non significa certo difendere l’islam.