Il lutto. Addio Fabrizio Frizzi, il sorriso vero di un amico in Tv
Servizio, strada, leone, onore, cuore. Indovinate, qual è la parola che può stare accanto a ciascuna di queste parole? Domenica 25 marzo, la concorrente Rachele deve indovinarla al gioco della Ghigliottina e non ce la fa. Fabrizio Frizzi, gentile come sempre, spiega a lei e agli ascoltatori che la parola è "ferito": leone ferito, onore ferito, cuore ferito... Applausi, dalla platea de "L’eredità". Frizzi sorride, fa un largo ciao con la mano e come sempre conclude: «A domani. Linea al Tg».
E invece, no. Non c’era lunedì sera Fabrizio Frizzi, 60 anni, l’aria da professore buono, con il suo quiz che dalle 19 ogni giorno teneva compagnia a milioni di italiani. A casa, davanti alla tv alle sette di sera, una platea di pensionati, casalinghe, bambini, di malati, anche, che nei giochi e nelle domande de "L’eredità" si distrae da giornate magari lunghe e faticose. Domande difficili e domande cui può rispondere un ragazzino, così che nessuno è escluso. E poi alla fine l’enigma della Ghigliottina, che pochi, nell’ansia dei secondi che corrono, riescono a risolvere. E se ce la fanno, le nonne telefonano alle nuore, esultanti: "Sai, ho indovinato la parola!".
E il piccolo rito collettivo si è compiuto, benevolo, educato, un’altra volta. Il largo "ciao" di Frizzi prima delle notizie del telegiornale era come il saluto a quell’altra Italia, mite, poco visibile, che sta nel tardo pomeriggio davanti alla tv. E che magari, dopo, a certe notizie del tg, allontana i bambini, e si incupisce. Ma che sul far della sera volentieri accoglieva quel conduttore, come uno di casa, uno di cui ci si fida. Per questo, lunedì, in centinaia di migliaia di case italiane qualcuno era triste: mancava un amico.
Per capirlo bisognava trovarsi a passare un po’ prima delle otto per le vie tranquille di una città di provincia, o di un paese: da quasi ogni porta, insieme all’aroma del sugo e a domestici clangori di pentole e piatti, venivano quegli stessi indovinelli, e quella voce mai urlata, con un garbo quasi di altri tempi. Qual è l’altro nome del Grande Carro? E il capoluogo dell’Abruzzo? Quale verdura si mette nella pasta alla Norma? E famiglie raccolte davanti allo schermo, per un’ora a giocare, semplicemente, a lasciarsi indietro i veri pensieri: giacché uomini e donne, a sera, hanno pure bisogno di un momento di quiete. Forse, in un tempo che molti di noi non hanno conosciuto, quel momento era nel sedersi tutti assieme a tavola. Ma nell’era della tv questo momento era anche, nei tinelli, nelle cucine, Fabrizio Frizzi: benevolo, capace di scherzare ma mai con cattiveria. Un uomo dalla faccia buona, sempre pronto a spendersi in partite e spettacoli per beneficenza. Uno che, già colpito dal suo male, era tornato, testardamente, sullo schermo, al suo posto: a combattere la sua battaglia, gentilmente.
La grande commozione di persone famose o ignote davanti a questa morte testimonia, è possibile, l’esistenza di riti collettivi largamente condivisi, pure nel tempo in cui la comunione fra noi sembra frantumata. Da Bolzano a Siracusa, in milioni volevano bene a Frizzi, e giocavano con lui. Dopo, arrivava la cronaca con le sue notizie preoccupanti, e talvolta terribili, di un mondo in cui chi ha una certa età non si riconosce più. Ma prima, ogni sera, quel sorriso, quei modi affettuosi rinfrancavano molti. Come se, in fondo, questa Italia fosse ancora, sempre la stessa. Come qualcosa di lieto e costante, che non poteva finire. Ogni sera, «Linea al Tg, a domani».
E invece, no. Così che nelle vie quiete delle nostre province ieri non echeggiavano, fra i profumi e i rumori della tavola, i quiz di Frizzi: e di sicuro molti erano tristi, perché se ne è andato, per sempre, un amico.