Opinioni

L'Unione cresce nei tempi duri. L'Europa che verrà

Leonardo Becchetti giovedì 21 agosto 2014
Eppure qualcosa si muove in quest’estate difficile per l’economia dell’area euro. Paradossalmente sono proprio le difficoltà dei Paesi del blocco del rigore (Olanda, Finlandia e Germania), anch’essi a serio rischio di stagnazione e deflazione, che potrebbero cambiare lo scenario. Prendere decisioni in economia è come guidare un’automobile su un percorso che non conosciamo in anticipo e che cambia continuamente caratteristiche. Nessuno guiderebbe usando la stessa velocità "a prescindere". Ci sono voluti quasi due anni a molti economisti, opinionisti e politici per capire che il tracciato della globalizzazione richiedeva una guida della politica monetaria completamente diversa da quella degli anni 80. Oggi il coro di coloro che hanno scoperto il "dividendo monetario" della globalizzazione (la possibilità di stampare molta più moneta nei Paesi ad alto reddito senza correre il rischio di creare inflazione) si sta facendo assordante. La concorrenza dai Paesi poveri ed emergenti in globalizzazione è infatti talmente forte da bloccare, nella nostra parte di mondo, ogni tentazione di aumento dei prezzi dal lato dell’offerta di fronte alla moneta più abbondante fornita dai banchieri centrali. Il ritardo dell’Unione Europea nello sfruttamento di quest’opportunità rispetto alle Banche centrali di Regno Unito, Giappone e Usa dipende ovviamente dal dover mettere d’accordo le classi dirigenti di tanti Paesi e non di uno solo. Tutto questo conferma che saranno ancora i tempi duri, cioè le "spalle al muro", le difficoltà e le crisi successive a costruire l’Europa che verrà, l’Unione che dovrà essere. I passi decisivi che aspettiamo, oltre al mutato ruolo della Banca centrale che troverà i modi di immettere liquidità direttamente nelle tasche dei cittadini senza passare per il sistema bancario, sono quelli di una politica fiscale più coraggiosa (attuata subito e non solo annunciata per un futuro lontano), della mutualizzazione dei debiti dei singoli Stati e di meccanismi automatici di stabilizzazione con trasferimenti di ricchezza tra i diversi Paesi. Niente di meglio da questo punto di vista, a nostro parere, di un sussidio Ue di disoccupazione "attivo". Ovvero un sostegno a chi non ha lavoro subordinato non solo nella ricerca effettiva di una nuova occupazione, ma anche con il concreto svolgimento di un’attività di pubblica utilità in modo tale da rendere il percepimento dell’indennità monetaria non conveniente per chi bara e nel frattempo lavora sul mercato nero.Uno dei compiti più importanti dei nostri governanti nella prossima stagione non è soltanto quello di fare i "compiti a casa", ma anche quello di far nascere questa nuova Europa costruendo progressivamente attorno a essa il consenso dei Paesi membri. Questo vuol dire che per l’Italia è fondamentale avere messo come priorità in agenda la riforma della giustizia civile e un’azione decisa per sbloccare gli investimenti pubblici, ma è persino più importante il parallelo lavoro per la costruzione di un’Europa diversa. Un lavoro che potrebbe, magari, essere stimolato da un manifesto sottoscritto da economisti autorevoli di tutti i Paesi membri. Gli Stati membri della Ue appaiono, infatti, oggi come i due agricoltori del famoso Apologo di Hume: «Il tuo grano è maturo, oggi, il mio lo sarà domani. Sarebbe utile per entrambi se oggi io lavorassi per te e tu domani dessi una mano a me. Ma io non provo nessun particolare sentimento di benevolenza nei tuoi confronti e so che neppure tu lo provi per me. Perciò io oggi non lavorerò per te perché non ho alcuna garanzia che domani tu mostrerai gratitudine nei miei confronti. Così ti lascio lavorare da solo oggi e tu ti comporterai allo stesso modo domani. Ma il maltempo sopravviene e così entrambi finiamo per perdere i nostri raccolti per mancanza di fiducia reciproca e di una garanzia». (David Hume "Trattato sulla natura umana", 1740, libro III).I rapporti tra Stati funzionano come quelli tra le persone. Se non scatta quel di più di fiducia e cooperazione, si precipita in un equilibrio sub-ottimale che alla fine danneggia tutti. Il coraggio necessario per fare il salto verso l’equilibrio virtuoso di una rinforzata cooperazione lo può stimolare solo la politica.