Norma aberrante, diritti negati, visione oscurantista... e l’immancabile preannuncio di ricorsi. È una commedia già vista, e più volte, quella che sta andando in scena in Lombardia, dopo che la Regione – settima in ordine cronologico – ha deliberato di consentire l’accesso alla fecondazione eterologa nei 60 centri attivi sul suo territorio a condizione che a pagare il conto non siano le casse pubbliche, ma le coppie che chiedono di procreare con gameti di altre persone. È bastato che una Regione tracciasse in modo non allineato alle “linee guida” più entusiaste e “radicalmente corrette” un proprio recinto normativo perché si scatenasse un temporale di accuse sanguinose – con la stucchevole aggiunta dei “cattolici integralisti”, chiunque essi siano, sospettati di essere manovratori occulti di ogni presunta nefandezza illiberale –, manco fosse stato leso un diritto fondamentale dell’uomo. Sull’eterologa stiamo assistendo a una partita irta di contraddizioni e ipocrisie tanto patenti quanto ignorate.La sentenza con la quale la Corte costituzionale in aprile ha rimosso il divieto di praticarla, senza indicare cosa andasse fatto per normare una materia rimasta in sostanza priva di regole, ha posto nelle mani delle istituzioni democratiche la responsabilità di decidere come procedere su un terreno – la generazione umana – che nessuno può accettare venga lasciato in balìa del “libero mercato”. E l’appello del Governo al Parlamento perché scriva in tempi rapidi norme condivise e uniformi, valide in tutta Italia e dotate delle sanzioni necessarie a farle rispettare, è il doveroso corollario della decisione di legalizzare l’eterologa, che continuiamo a ritenere grave e più che discutibile sotto vari aspetti, ma che a questo punto va almeno resa operativa in condizioni di massima trasparenza e sicurezza per i cittadini. Se le Camere legiferano, il Paese viene messo nelle condizioni di seguire un pubblico confronto, e le coppie interessate possono contare di poter accedere alla tecnica a partire da un certo giorno e a condizioni ben definite sotto la garanzia dello Stato, non si capisce perché imboccare la via delle venti normative regionali. Che è invece il percorso additato come indispensabile, sonoramente sponsorizzato e alla fine scelto con la fretta di chi deve assolvere un dovere impellentissimo per la salute dei cittadini.Ma forse ancora sfugge che l’eterologa non è una terapia, lascia intatta la sterilità degli aspiranti genitori, e le Regioni che si sono scatenate in una corsa per autorizzarla ora si guardano attorno per capire come fare a onorare una promessa pubblicamente enfatizzata, e con quali soldi (si tratta di 3-4mila euro a ciclo), in tempi di nuovi tagli alla spesa sanitaria. Se poi si sostiene che l’Italia deve produrre cannabis a scopo terapeutico «per risparmiare», è lecito chiedersi perché lo stesso criterio di economicità non valga anche per la costosissima eterologa. La Lombardia che ora dice di non poter garantire l’accesso a questa tecnica con i soldi del contribuente non fa che seguire la tanto invocata libertà di iniziativa delle Regioni, che hanno preteso di non attendere una legge dello Stato dotata anche della necessaria copertura di spesa. Perché allora tanto strepito?