Analisi. Essere artigiani della pace non è un'utopia d'altri tempi
Il testo del cardinale Zuppi che qui pubblichiamo è la prefazione al libro di Ann Rose Na Twang, 'Uccidete me, non la gente'. La suora coraggio del Myanmar racconta la sua storia (Emi, pp. 96, euro 10, in libreria da oggi), scritto con l’editorialista di Avvenire Gerolamo Fazzini.
Artigiani di pace. È la beatitudine evangelica che papa Francesco ricorda a tutti incoraggiando tutti a 'fare pace'. Artigiani. Dio lo è con noi, continuando a cercare la pace da instancabile artigiano del mondo con la nostra materia, così imprevedibile e instabile, e combattendo contro il male che ci usa per tornare al caos, per dividere quello che l’amore pazientemente unisce. E sappiamo come è molto faticoso costruire, e rapido e facile distruggere. Essere artigiani dà dignità al poco che possiamo fare. La pace non si misura con il risultato perché la pace inizia nel piccolo gesto, grande sempre, come quello di suor Ann Rose Nu Tawng che si misura con la sproporzione evidente, drammatica, tra una donna indifesa e sola e uomini armati e numerosi davanti a lei.
Ecco dove inizia la pace ed ecco anche cos’è la chiesa, una madre che difende i suoi figli e che per loro vince ogni paura. Dove trova il coraggio? Non è questione di coraggio, ma di amore, altrimenti non dipende da noi! Amore per la sofferenza del suo popolo, perché il grido di dolore le ha toccato il cuore, perché non si può stare tranquilli o nascondersi dietro al 'non posso fare nulla' se c’è tanta sofferenza. Altrimenti finiamo per credere di potere restare sani in un mondo che è malato. È presuntuoso e sciocco crederlo, ed è senza umanità non aiutare qualcuno accanto a me che ha bisogno. La pandemia può e deve provocare un sentimento di vicinanza tra le persone, di consapevolezza, di unione tra fratelli tutti. Capiamo davvero come la pandemia della guerra è una sola, come la terza guerra mondiale combattuta a pezzi. Vedere le varie pandemie, rendersi conto della realtà, ci chiede di scegliere, di non rimandare. «Io ho gridato ai dimostranti di entrare in clinica e sono andata davanti alla polizia e ai militari. Ho deciso di proteggerli, anche a rischio della vita». «Se volete picchiare la gente o sparare sui dimostranti, fatelo con me al posto loro, perché non riesco a sopportare che soffrano per la violenza».
Una suora. Debole e fortissima. Difende le persone e cerca la democrazia per tutti, cioè il bene comune. Affronta la pandemia della violenza. L’ingiustizia provoca sempre violenza e altra sofferenza: solo la nonviolenza e la scelta di difendere i più deboli può fermarla. Ricordo quella che ha colpito i rohingya, gruppo etnico tra i più perseguitati del mondo, secondo quanto affermano le Nazioni Unite, quelli per cui papa Francesco chiese perdono «soprattutto per l’indifferenza del mondo». «La presenza di Dio, oggi, anche si chiama 'rohingya'», disse. La presenza di Dio oggi è tutto il popolo del Myanmar.
Ma deve scattare una consapevolezza: nessuno è così piccolo da non poter ottenere la pace. Un cinico direbbe che una scelta così non cambia il conflitto in corso. E quanto cinismo c’è in giro, di analisti che evidentemente non soffrono tanto da poter certificare l’utilità dei gesti e arrivare a dire che non si può fare nulla, o che si innamorano delle loro analisi senza compromettersi nelle soluzioni. Anche se fosse servito solo a risparmiare la vita di qualcuno, non è sempre salvare il mondo intero? Non è proprio questo l’operatore di pace? Non accettiamo mai che i problemi siano sempre più grandi, che ci sono altre cose che vanno fatte prima e che noi siamo sempre troppo piccoli. È anche vero che il problema è sempre più grande e che bisogna risolvere le cause e coinvolgere i veri responsabili. La chiave della pace, tuttavia, non ce l’ha mai solo una persona, ma l’hanno tanti e per certi versi tutti, e quindi tutti responsabili. Io posso iniziare a curare l’aria inquinata che tutti respiriamo, carica di quel pericolosissimo gas inodore che è l’indifferenza, cui si aggiungono i predicatori della violenza, consapevoli e non, come quegli istigatori di pregiudizi, di fake news frutto di calcolo o ideologia, che cercano il nemico anche quando non esiste, lo creano di fatto e non identificano così il vero nemico da combattere.
Operatori di pace sono tutti coloro che nel mondo attuale (Fratelli tutti, 30) vivono i sentimenti di appartenenza a una medesima umanità e vivono il sogno di costruire insieme la giustizia e la pace. Non è un’utopia di altri tempi, ma la conseguenza del 'fratelli tutti' e, per noi cristiani, di un Dio che ci mette tra le mani la sua pace, che ci rende con il suo amore artigiani di pace ovunque. Il discepolo di Gesù non ha nemici e proprio per questo è operatore di pace con la forza più debole di tutte che è la preghiera, disarmata totalmente ma resistenza al male, e che ci dona la forza di resistergli. Mettersi in ginocchio e chiedere pace anche per i nemici. Operatore di pace anche solo con la sua vita, con le sue parole, perché così disarma i piani del nemico, indica la via del rispetto e della giustizia. Non disprezziamo mai l’umile gesto di pace. È grande – come abbiamo visto, e come la voce di questa testimonianza che avete tra le mani ci ricorda con vivezza –, e trasmette forza.
Il cammino della pace inizia dalla rinuncia ad avere nemici. Chi ha il coraggio di guardare le stelle, chi crede in Dio, non ha nemici da combattere. Ha un solo nemico da affrontare, che sta alla porta del cuore e bussa per entrare: è l’inimicizia. Non ci sarà pace senza condivisione e accoglienza, senza una giustizia che assicuri equità e promozione per tutti, a cominciare dai più deboli. Non ci sarà pace senza popoli che tendono la mano ad altri popoli. Non ci sarà pace finché gli altri saranno un loro e non un noi. Non ci sarà pace finché le alleanze saranno contro qualcuno, perché le alleanze degli uni contro gli altri aumentano solo le divisioni.
La pace non chiede vincitori né vinti, ma fratelli e sorelle che, nonostante le incomprensioni e le ferite del passato, camminino dal conflitto all’unità. «Se Dio è il Dio della vita – e lo è –, a noi non è lecito uccidere i fratelli nel suo nome. Se Dio è il Dio della pace – e lo è –, a noi non è lecito fare la guerra nel suo nome. Se Dio è il Dio dell’amore – e lo è –, a noi non è lecito odiare i fratelli». Così Francesco in Iraq. Aggiungo: se Dio è il Dio dell’amore – e lo è – a noi è possibile essere operatori di pace. Insieme. Come ci ha detto in un incontro online di preghiera, suor Ann Rose con disarmante semplicità evangelica: «Auguro a tutti di essere felici e sereni». È la pace. Amen. Pace.
Il cammino inizia dalla rinuncia ad avere nemici da combattere, ma uno solo da affrontare: l’inimicizia. Non ci sarà pace senza condivisione e accoglienza, senza una giustizia che assicuri equità Non accettiamo che i problemi siano sempre più grandi, che altre cose vanno fatte prima e che noi siamo sempre troppo piccoli