Tralicci, carabinieri insultati, magistrati minacciati, giornalisti aggrediti. Un film già visto. E nella serata di ieri anche alcuni feriti tra le Forze dell’ordine. Un gran brutto film. Fatto di violenza e di intolleranza. Ma anche di vigliaccheria e falsità. In un crescendo che ormai non è più solo preoccupante. In Val Susa e oltre. Una «violenza collettiva, preventivamente e strategicamente pianificata», ha scritto il Tribunale del riesame di Torino confermando la carcerazione degli antagonisti coinvolti nell’inchiesta sugli scontri della scorsa estate, quella che ha scatenato i durissimi attacchi contro il procuratore Caselli. Ma quanto sta accadendo in queste ore appare ancora più preoccupante. Un salto di qualità. «Cose che sembrano ritornare. Che appartenevano a un passato doloroso. Dovremmo essere vaccinati e invece...», rifletteva ieri il procuratore aggiunto di Roma, Nello Rossi, magistrato con una lunga esperienza nelle inchieste sull’eversione e il terrorismo. E invece... ecco il déjà-vu. Già, come non pensare a quel passato doloroso scorrendo le immagini del giovane che insulta un carabiniere («Se una pecorella...»), lo provoca («Sei venuto per sparare, vuoi sparare?»), lo riprovoca («Per quello che guadagni, non ne vale la pena»). È evidente che cerca una reazione, cerca il 'caso', magari qualche amico è pronto a filmarlo. E invece no. Il militare non fa una piega. Gli occhi ben fissi dietro la visiera del casco. Bravo e preparato. È giusto riconoscerlo, anche perché non sempre è così. Brutte-belle immagini riprese da una troupe di H24-Corriere Tv. Ma questo è giornalismo, serio giornalismo, fatto sui fatti, non militanza. E proprio per questo non piace ai violenti. Oggi come in quel passato doloroso. Che ricordiamo bene. Così, ieri, quando la troupe torna nella zona scatta l’aggressione. Volti coperti, pugni, testate e coltelli. Telecamere danneggiate e cellulari rubati. Poi le incredibili versioni: «Sono stati scambiati per agenti». Siamo alle solite. Violenze vere giustificate da provocazioni presunte. Come chi ha dato alla polizia la responsabilità della caduta dal traliccio di Luca Abbà. Ma stavolta, evidentemente, è intolleranza verso informa, facendo il proprio mestiere. Altri cronisti, infatti, hanno subìto trattamenti analoghi. Alla faccia della tanto sbandierata difesa della libertà di informazione. Oggi come allora. Giornalisti da colpire, da zittire, da intimidire. Non faremo i nomi dei tanti finiti nel mirino degli anni di piombo, noti e meno noti al grande pubblico, ma solo per sperare che ci si possa e voglia fermare qui. C’è ancora il tempo per tirare una linea di confine nettissima tra l’opposizione democratica di una parte della Val Susa alla Tav e i basisti e i pendolari della violenza. Quegli 'irriducibili', come si autodefiniscono, che respingono qualunque soluzione di mediazione. Violenti a prescindere. Gente da oltre confine, appunto. A parole e a fatti. Gente che non si accontenta di definire «teorema giudiziario » l’inchiesta torinese ma impedisce di fatto al procuratore Caselli di poter parlare. Gente che non si accontenta, lo ha fatto anche ieri, di definire i giornalisti «iene e sciacalli» ma li aggredisce (nulla lo giustifica, neanche i titoli altrettanto violenti di qualche quotidiano...). È la logica della provocazione. Parole per avere violenza. Davvero l’essenziale confine tra civile protesta e incivile contrapposizione si è fatto troppo labile. Serve non uno soltanto, ma una serie di passi indietro. Serve un netto e inequivocabile isolamento dei gruppi intolleranti. Serve serrato dialogo e non spinto antagonismo. Servono convinto spirito democratico e semplice rispetto. Altrimenti il passato «sconfitto e risolto» sul quale, qui abbiamo già ragionato, diventerà – e forse lo è già diventato – un nuovo presente di pericolo e di dolore. Per tutti: per chi la violenza la subisce e per chi la pratica.