Le notizie sulla collusione, addirittura sulla sottomissione di Domenico Zambetti, assessore della giunta lombarda, a uomini della criminalità organizzata di origine calabrese fanno orrore. Sulla natura dei reati, che sono naturalmente personali, deciderà il procedimento giudiziario, ma sulla degradazione della vita pubblica e dell’istituzione giudicano i cittadini, profondamente delusi da comportamenti inaccettabili e offensivi.Eppure, paradossalmente, insieme a questi e altri episodi di malgoverno impressionanti, la Lombardia può vantare, in termini oggettivi, il profilo di una buona amministrazione. Basta considerare la gestione della sanità, che assorbe la gran parte del bilancio delle Regioni a statuto ordinario: la Lombardia vanta i migliori servizi e i costi più bassi rispetto a tutte le altre regioni italiane. Naturalmente si può sempre far meglio, ma intanto i dati comparativi parlano chiaro. Comprendere i connotati di questa contraddizione non è semplice, ma è necessario per definire in modo razionale la dimensione del problema dell’infiltrazione della criminalità organizzata e per approntare misure atte a contrastarla efficacemente.L’infiltrazione, che è stata più volte denunciata (anche dalle pagine di questo giornale) esiste e non può essere minimizzata. Forse non tutto è ancora emerso, forse la pressione delle ’ndrine si è esercitata anche su altri soggetti. Il primo punto da esaminare è perché il sistema sia così permeabile all’offerta di bassi 'servizi elettorali', che aprono poi canali di collegamento nei quali è la criminalità a dettare legge.Oltre all’ovvia questione della moralità personale, che però difficilmente può essere valutata a priori, bisogna esplorare i meccanismi di selezione delle candidature alle cariche esecutive. In America, per esempio, le nomine dei ministri e degli alti funzionari pubblici sono precedute da esami parlamentari approfonditi e spesso irrispettosi, condotti però con spirito bipartisan.Chi propone le candidature sa che esse saranno esaminate al microscopio, il che rende più difficile far prevalere logiche di camarilla o di piccoli interessi, seppure legittimi. Ovviamente non si tratta di istituire una specie di magistratura interna alle istituzioni politiche, non si tratta di valutare innocenze o colpevolezze, ma di garantire affidabilità e competenza. Il fatto che anche all’interno di un’istituzione sostanzialmente efficiente sia possibile che, attraverso un sistema di relazioni più o meno oblique, si possano insediare a responsabilità rilevanti persone inaffidabili significa che c’è qualcosa che non funziona nel sistema.È vero che anche persone assolutamente insospettabili possono poi risultare infedeli al loro mandato (basta pensare all’ex tesoriere della Margherita o persino all’assistente laico del Santo Padre). Errori di valutazione possono essere commessi da tutti, ma nelle Regioni italiane si assiste a un rischio di degenerazione sistemico, non solo a singoli casi di malaffare. Se non si vuole che il sistema del decentramento crolli sotto il discredito, riducendo così gli spazi di autogoverno territoriale e colpendo il principio di sussidiarietà, sarebbe utile che i responsabili politici non si limitassero a denunciare le reciproche responsabilità negli scandali, ma cercassero anche di trovare insieme meccanismi di salvaguardia dalle infiltrazioni malavitose, dal malaffare, dalla corruzione, dagli sprechi, dalle ostentazioni irritanti.Non è vero che le amministrazioni pubbliche siano tutte e soltanto un ricettacolo di vizi inconfessabili, ha fatto bene Mario Monti a ricordarlo. Ma se si vuole salvare quello che c’è di valido, e in Lombardia c’è molto da salvare, bisogna elevare forti e riconoscibili barriere, anche istituzionali, che rendano più difficile l’attribuzione di responsabilità pubbliche a chi non ne è degno.