Strategie post Covid. L'Europa si può risollevare con sei azioni sostenibili
Sono passati solo tre mesi, ma da un punto di vista politico è come se fosse passata un’era geologica: siamo passati dal tempo dell’Europa gendarme a quello dell’Europa nutrice. Peccato che per ottenere la conversione ci siano voluti oltre 50mila morti e l’arretramento del Pil nell’ordine dell’8%.
Era il 20 febbraio 2020 e Conte si apprestava ad andare a Bruxelles per partecipare alla riunione del Consiglio dell’Unione Europea dedicato alla definizione del bilancio comunitario 2021-2027. Una riunione che si preannunciava piuttosto difficile perché quando si tratta di soldi ogni paese cerca di dare il meno possibile e di ottenere, al contrario, il massimo possibile. Per giunta due fatti nuovi rendevano le trattative particolarmente difficili: l’abbandono della Gran Bretagna che generava un mancato gettito di 75 miliardi di euro e la necessità di finanziare gli investimenti utili a fermare i cambiamenti climatici. Alla fine si trattava di trovare 600 miliardi di euro in più rispetto al precedente bilancio settennale e nessuno voleva saperne di mettere mano al portafogli. I più recalcitranti erano Olanda, Svezia, Danimarca e Austria, anche soprannominati “i frugali” a causa della loro parsimonia.
Ma ciò che apparentemente sembrava una questione di soldi, in realtà era una questione di valori e di impostazione politica. Era l’indisponibilità a risolvere i problemi in forma comunitaria e soprattutto a riconoscere ai governi la legittimità di intervenire in ambito economico. Atteggiamento che è stato totalmente rivisto dopo i danni economici, umani e sociali provocati dal coronavirus in tutta Europa e non solo. Di colpo perfino un Paese come la Germania ha riconosciuto che prima del rigore finanziario e del dogma liberista viene la sopravvivenza delle persone, delle imprese, in una parola del sistema, e ha accettato di avere un atteggiamento di maggior tolleranza verso i Paesi più indebitati e di assegnare all’Europa il compito di sostenere i Paesi più colpiti dalla pandemia. Così si è giunti alla proposta della Commissione Europea di fare salire il bilancio comunitario del periodo 2021-2027 addirittura a 1.850 miliardi, di cui 1.100 messi a disposizione dagli Stati membri e 750 ottenuti a prestito, appositamente per finanziare il programma denominato “Next Generation Ue” finalizzato a riparare i danni provocati dalla pandemia e più in generale a «rimettere in piedi l’Europa, accelerare la duplice transizione verde e digitale e costruire una società più giusta e più resiliente».
La Commissione ha spiegato che nelle sue intenzioni il fondo speciale per il programma Next Generation sarà distribuito agli Stati membri in parte sotto forma di contributi a fondo perduto, in parte sotto forma di prestiti agevolati. Inoltre ha precisato che per mettersi in condizione di ripagare il maxi-prestito da 750 miliardi intende chiedere di ampliare le proprie fonti di entrata. Attualmente le principali fonti di entrata dell’Unione Europea sono i contributi versati da ogni Stato membro in proporzione al proprio Prodotto interno lordo, la compartecipazione ai dazi doganali riscossi alle frontiere esterne, la compartecipazione all’Imposta sul valore aggiunto, le multe inflitte alle imprese che violano le norme sulla concorrenza. L’ipotesi della Commissione per garantirsi maggiori entrate è di chiedere agli Stati membri di introdurre nuove tasse, utili al tempo stesso a garantire introiti aggiuntivi all’Ue e a correggere particolari storture ambientali ed economiche.
Se ne potrebbero citare almeno 6.
La prima: l’estensione alle compagnie aeree e marittime dell’obbligo di acquistare i diritti di emissione di anidride carbonica. Gettito previsto: 10 miliardi di euro all’anno.
La seconda, definibile come carbon tax, prevede un dazio doganale imposto su tutti i prodotti esteri provenienti da Paesi che non stanno assumendo gli stessi impegni di abbattimento di anidride carbonica assunti dall’Unione Europea. La lista sarebbe molto lunga e sicuramente si aprirebbe con gli Stati Uniti, a cui però qualcuno deve bene insegnare che il motto America first (Prima l’America) deve essere sostituito con Humanity first (Prima l’umanità). Gettito previsto fra i 5 e i 14 miliardi di euro.
La terza prevede l’introduzione di una sovrattassa fatta pagare alle imprese che godono di vantaggi particolarmente favorevoli per il fatto di poter operare in un mercato comune. Gettito previsto: altri 10 miliardi di euro all’anno.
La quarta: l’introduzione della plastic tax, una tassa applicata su tutte le plastiche monouso, dalle posate alle buste per la spesa, dai cotton fioc alle cannucce in plastica da gettare nella spazzatura dopo un singolo utilizzo. Gettito previsto: 6 miliardi di euro.
La quinta, definibile come web tax, consiste in un’imposta applicata ai proventi ottenuti dalle piattaforme informatiche. Stiamo parlando di giganti come Google, Facebook, Amazon, Ebay, Uber e molti altri che oggi riescono a sottrarre milioni di euro ai Paesi in cui operano approfittando delle diversità fiscali fra Stati, della loro mancanza di collaborazione, della virtualità di Internet. Un fenomeno noto da tempo, considerato che già nel 2013 una Commissione d’indagine del Senato americano aveva appurato che l’elusione fiscale aveva consentito a Apple di accumulare più di 100 miliardi di dollari nei paradisi fiscali. Secondo uno studio di Mediobanca, fra il 2014 e il 2018 le prime 10 imprese digitali del mondo hanno risparmiato 49 miliardi di dollari, a livello globale, grazie al ricorso massiccio ai Paesi a fiscalità agevolata. Di sicuro una buona parte di essi sono sottratti ai Paesi europei, ed è ormai opinione diffusa che si debba intervenire con adeguati provvedimenti fiscali per recuperarli nonostante l’opposizione di Trump che ha minacciato ritorsioni contro chiunque pretenda di toccare gli interessi delle imprese informatiche domiciliate in territorio statunitense. Secondo la Commissione Europea se solo venisse applicata alle imprese con fatturati globali superiori ai 750 milioni di euro, la web tax potrebbe generare all’Unione Europea un gettito annuo di circa un miliardo e mezzo di euro.
La sesta e ultima proposta si chiama Tobin tax, una tassa sulle transazioni finanziarie per frenare la speculazione e l’avanzata della finanza che sta diventando così invadente da strangolare l’economia reale.
Per concludere, lotta all’evasione, lotta all’inquinamento e lotta alla speculazione dovrebbero diventare i pilastri finanziari di una nuova Europa che finalmente sia sinonimo di equità e sostenibilità, come richiedevano i padri fondatori di Ventotene.