Opinioni

Il terrorista morto, una moralissima domanda, i doveri dello Stato. Era un pluriassassino È stata la fine di un uomo

Ferdinando Camon sabato 24 marzo 2012
C’è il video in Internet, chiunque può vederlo. Il titolo è: «Sparatoria finale, fine del blitz». Ma poteva anche essere: «Fine di un uomo». Dura parecchi minuti, la cosiddetta "fine" del blitz non è stata un attimo. E qui c’è una contraddizione: se è un blitz, dovrebbe durare pochi secondi, un minuto, massimo due. Ma qui la sparatoria non finisce mai. Vien ripresa da una telecamera fissa, che inquadra la scena probabilmente da 36 ore, da quando l’assedio era cominciato. La domanda è: possibile che in 36 ore non si potesse prendere vivo l’assediato? La possibilità di prenderlo vivo era indicata da parecchie condizioni: era solo; era in un appartamentino piccolo, 40 metri quadrati; non aveva ostaggi in casa; non aveva amici; non poteva scappare da nessuna parte. E allora, non poteva essere stordito con gas soporifero, o accecato con gas lacrimogeno? L’inconscio di noi lettori (non tutti ma molti) risponde (non neghiamolo): ma era un pluriassassino, aveva ucciso quattro adulti e tre bambini, uccideva ogni quattro giorni, meritava tutta questa delicatezza? È vero, ma lui è un pluriassassino, mentre noi siamo lo Stato, la Legge: lui uccide e sbaglia, noi vogliamo­dobbiamo giudicarlo e punirlo per questo, non vogliamo ricambiargli occhio per occhio, sbagliando anche noi. E poi, siamo di fronte a un’azione militare, che eseguiva un ordine, e l’ordine del capo supremo (il presidente della Repubblica francese) era chiaro: «Prendetelo vivo». Se non è andata così, questa à una missione fallita. Era inevitabile che fallisse? No, non era inevitabile. E non è solo su questo giornale che vien posta la domanda, molta stampa francese si sta interrogando. Dire «non voleva arrendersi» non serve, perché noi non dobbiamo fare quel che voleva lui, ma quel che vogliamo noi. Dire «era armato» non serve, un killer è sempre armato, e tu non devi disarmarlo, questo è impossibile, devi renderlo inoffensivo. Con l’astuzia e con la tecnica, prima che con le armi. Lui sta in fondo all’appartamentino, e contro la porta ha addossato il frigorifero, non puoi aprirla forzandola. Ma puoi aprirla con l’esplosivo. A poca distanza dalla casa dove scrivo questo articolo c’era l’appartamento in cui le Brigate Rosse tenevano prigioniero il generale Dozier: le squadre dell’antiterrorismo han fatto saltare la porta con l’esplosivo, sono saltate dentro sparando bombe accecanti, hanno preso per mano prigioniero e brigatisti, tutti storditi. E poi: qui il terrorista non voleva morire, voleva vivere. È saltato giù da una finestra. In quel volo era sotto il tiro di 8-10 fucili, che si sono messi a sparare tutti insieme. La sparatoria sta nel video, si possono contare gli ultimi colpi: raffica di 10, poi 3, poi 5, poi 10, e infine altri 10. In tutto, a partire dall’inizio, sono stati sparati circa 300 colpi. Una sparatoria di 300 colpi ha come principale effetto quello di "eccitare" l’assediato se, come qui, s’è addestrato sui campi militari. Più spari, meno quello s’arrende. Se ha un ostaggio con sé, fa in tempo mille volte a ucciderlo. È quel che è successo in Nigeria, col blitz delle forze speciali inglesi, dov’è rimasto ucciso il nostro connazionale Lamolinara. Quel blitz durò alcune ore, da 2 a 7. In quell’occasione il nostro presidente della Repubblica definì «inspiegabile» il comportamento inglese. Più inspiegabile ancora è il comportamento delle forze francesi nel blitz di Tolosa. Qui una spiegazione c’è, ed è quella che si agita al fondo dei nostri sentimenti di umanità ferita: uno che ha ucciso sette nostri fratelli non merita attenzioni. Se lo fai secco, puoi avere qualche rimprovero pubblico, ma avrai anche dei complimenti (in segreto). E allora concludiamo: «Non uccidere» è un comandamento altissimo. Non puoi contestarlo. Se lo infrangi nella pratica, non deve essere, o anche solo sembrare, una tua scelta.