È un’Italia a testa bassa, un po’ rassegnata e un po’ impaurita, quella che si prepara ad accogliere la seconda maxi manovra presentata nel giro di un mese. È un Paese che nello spazio di un’estate, a suon di miliardi bruciati nelle Borse e nelle oscillazioni degli
spread dei titoli di Stato, e di miliardi manovrati come pedine sulla scacchiera dei sacrifici, ha incominciato a rendersi conto che ci vorrà ancora molto tempo prima di poter veramente rialzare la testa.Perché questa seconda manovra da 45 e passa miliardi di euro, che alza a quasi 100 miliardi il peso degli interventi spalmati in tre anni, permetterà forse, se le risorse saranno ben usate, il pareggio di bilancio prima del previsto, nel 2013 – come richiesto dall’Europa sotto la pressione dei mercati – ma avrà certamente e allo stesso tempo un serio effetto recessivo.Un colpo al sistema economico e sociale italiano, in un momento in cui la crescita sta nuovamente rallentando in Europa come negli Usa, i cui effetti saranno visibili solo tra qualche tempo, anche se è già chiaro che a sopportarne il peso saranno in gran parte i ceti medi e medio bassi, chi paga le tasse fino in fondo nonché il soggetto-famiglia, misconosciuto e tartassato ancora una volta senza sconti.È il prezzo dell’emergenza. Ma anche degli errori nella gestione della crisi commessi dai leader occidentali. Della sottovalutazione dei rischi a cui il nostro Paese sarebbe andato incontro in assenza di un piano di risanamento programmato con maggiore anticipo e migliore realismo, in un contesto politicamente meno instabile di quello che stiamo conoscendo. E della miopia di quelle "parti sociali" che, in questi anni, hanno ostacolato ogni tentativo di risanamento strutturale e responsabile.Quello che spicca, alla voce 'tagli' – rappresentano più della metà della manovra-bis – sono gli interventi sui costi della politica e della macchina amministrativa, oltre che il poderoso ridimensionamento dei trasferimenti a Comuni e Regioni.La riduzione delle poltrone negli enti locali, come i risparmi sulle spese per i parlamentari, rappresentano l’avvio necessario di un cammino che può diventare virtuoso e riportare la professione del politico in una dimensione di sobrietà e servizio, rendendo adeguato il (benedetto) costo della democrazia. L’accorpamento dei piccoli Comuni non sarà facile da gestire, ma andava prima o poi messo in moto. Quella delle Province, invece, rischia di diventare un ginepraio: in certi casi è meglio abolire che ridurre… A rappresentare un grande punto interrogativo sono, infine, i quasi 10 miliardi tolti in due anni a Regioni e Comuni: spostano l’onere del risanamento sul territorio e si tradurranno in drastici tagli dei servizi alle persone, in grave aumento di tasse e tariffe locali o, più probabilmente, in una complicata via di mezzo tra questi due estremi.Non sono state toccate le pensioni, salvo l’anticipo al 2016, per le donne, del cammino che innalzerà lentamente l’età di ritiro a 65 anni.Un risparmio di 1 miliardo dal capitolo previdenza significa che per molti anni ancora si andrà in pensione beneficiando di un sistema che trasferisce gli oneri sulle generazioni più giovani. Le mani nelle tasche degli italiani, in buona parte, erano già state messe a luglio con la manovra dei 'tagli orizzontali', ora si aggiungono il contributo di solidarietà per i redditi oltre i 90mila euro – doppia una tantum, a calare, tra il 2012 e il 2013 – gli interventi su tredicesime e Tfr posticipato degli statali, lo stop ai 'ponti' festivi, la doverosa rimodulazione della tassazione sulle rendite finanziarie. Non era facile mettere insieme tanti miliardi in poche ore impostando una manovra organica con ambizioni strutturali, e questo intervento – che avanza a colpi di miliardi rastrellati di qua e di là, tra Robin Hood Tax, accise su giochi e tabacco e misure degne degli anni 80 – lo dimostra ampiamente. Le prospettive di sviluppo sono affidate a liberalizzazioni e privatizzazioni, al rafforzamento dei contratti aziendali con la diffusione del 'modello Pomigliano'. E, salvo per la stretta sui pagamenti in contanti e sugli scontrini fiscali, si ritrova la cronica timidezza nella capacità di incidere sui grandi evasori, sulle rendite di posizione, sui veri patrimoni, sulla 'casta' di chi riesce sempre ad arricchirsi a spese della comunità.Quello che manca, ancora una volta, è una visione d’insieme organica che sappia indicare una luce in fondo al tunnel della crisi, priorità convincenti, un premio ai comportamenti virtuosi e promotori di sviluppo e anche solo il tener conto del soggetto-famiglia.L’Italia del dopo-cura, quella che "si risveglierà" tra 5 anni, non sarà un Paese più ricco di oggi. Un giovane sotto i 35 anni o una famiglia con figli – già composta o in formazione – non trovano appigli per la speranza di futuro meno ostile.Tutte le attese per un equo e solidale riequilibrio dei sacrifici vengono, insomma, riposte nella delega fiscale. Una sorta di terzo e cruciale tempo di questa partita con la crisi e per il futuro. La stangata che ci sta piombando addosso è, purtroppo, inevitabile. Ma è anche migliorabile. E va necessariamente integrata. Avrà senso solo se le risorse raccolte e le riforme impostate non saranno utilizzate per un 'rattoppo', ma per incidere alla radice sul modo con il quale in Italia si prepara il domani e si sostiene la fiducia delle persone.Con le famiglie e i giovani in primo piano.