Opinioni

Tragedia di Rivarolo Canavese. Eppure quella storia scura dice e reclama misericordia

Marina Corradi martedì 13 aprile 2021

Dal piano di sopra venivano strilli, e le voci dei cartoni animati, e i passi lievi, incerti, di un bambino che impara a camminare. Nell’appartamento di sotto c’era sempre più silenzio. Due genitori anziani, un figlio disabile cinquantenne e l’interrogativo angoscioso: che sarà di lui, domani? E tutto questo nel profondo isolamento dei mesi di pandemia. Quieto e ordinato corso Italia, a Rivarolo Canavese: pochi passanti con la mascherina sul volto, pochi clienti nella salumeria sotto casa.

Come una bomba: Renzo Tarabella, 83 anni, ha ucciso la moglie e il figlio malato, e una coppia di vicini di casa, in passato amici. Poi, attonito, ha vegliato per otto ore i morti. All’alba, quando i carabinieri hanno suonato alla porta, si è sparato, senza riuscire a morire. Come una bomba, la disperazione un gas che silenziosamente andava colmando l’appartamento, mentre ogni sera i tg recitavano i numeri dei morti, e la gente attorno se ne stava chiusa in casa. C’è di tutto, in questa strage in una provincia italiana: l’angoscia di chi teme per il futuro di un figlio disabile, e la solitudine di molte persone anziane. E l’ossessione, e la follia. Quei rumori dal piano di sopra, lievi, ma insopportabili: il rumore della felicità, in una casa ormai disperata. Poi il Covid, come detonante. Eppure, qualcosa si sapeva: il pensionato, appassionato di armi, teneva in vista in soggiorno una pistola, regolarmente denunciata. Si sapeva che aveva escluso i servizi sociali dall’assistenza al figlio. (Solo lui, solo lui lo sapeva seguire a dovere). Ma, un giorno, che sarebbe stato di Wilson? Mentre un oscuro rancore montava, nell’uomo, verso Osvaldo e Liliana, i vicini. Erano stati legati, portavano Wilson al cinema. Amici. Una volta.

Poi era arrivata la nipotina, e i nuovi nonni, innamorati, non avevano più tanto tempo per Wilson. a, soprattutto, sembravano felici. C’è di tutto nel nido di violenza di Rivarolo, e anche, sommerso, dimenticato, c’è del bene: il bene voluto a quel figlio diverso, per cinquant’anni. Cinquanta lunghissimi anni: i primi dubbi, le visite, la diagnosi. La disabilità che allarga col tempo il solco fra chi ce l’ha in casa, e gli altri. Quei vicini buoni, brava gente. Ma la figlia aveva avuto una bambina. Com’è normale, fra i sani. Nella casa al piano di sopra la vita ricominciava, fra ninne nanne e carillon.

Nella casa al piano di sotto, una pistola sul tavolo del soggiorno aspettava la sua ora. Nessuno forse, sabato sera, ha fatto caso ai colpi: pioveva, chiuse le finestre e chiusa la gente in lockdown nei suoi pensieri. L’anziano padre, immobile, vegliava: la compagna di una vita, il figlio, i vicini, tutti morti. Otto ore, per impugnare di nuovo la pistola. I tg raccontano e chi ascolta zittisce. Sembra che in corso Italia 46 a Rivarolo Canavese si sia concentrata una mole di sofferenza: affrontata con coraggio per decenni, ma poi, rafforzata da un anno di solitudine, tracimante in follia, come un’onda che spacca una diga. È uno schiaffo, questa tragedia, per noi tutti: sembra mostrare come antiche carenze sociali e nuove chiusure, delle città e dei cuori, possano generare inimmaginabili devastazioni.

È uno schiaffo anche, per chi crede, che questa strage abbia finito di maturare proprio all’alba della domenica della Divina Misericordia voluta da Giovanni Paolo II. Perché, diciamolo, davanti a una simile storia ti viene da domandarti dov’era Dio, a Rivarolo, l’altra notte. E, lo sai bene, non puoi pretendere di capire; e, lo sai, altre sono le vie e i pensieri di Dio, dai nostri. Pensi all’arma afferrata dal tavolo, alla rabbia cieca. Poi, otto infinite ore. E si direbbe, dall’ultimo colpo, che la disperazione abbia trionfato, infine, in quella battaglia troppo grande per una piccola casa. Ma, tutto il bene, tutta la pena di una vita dedicata a un figlio incapace di diventare grande? La vana speranza, magari, di una nuova terapia, e le preghiere, forse, per quel ragazzo, che pure ormai invecchiava.

Altri dai nostri sono i pensieri di Dio: eppure, ti dici, non può essere, che Dio dimentichi il bene. In un letto d’ospedale quell’uomo giace, incosciente, nel fondo del suo mistero. Dov’era Dio all’alba di domenica? Forse era accanto a quel vecchio con gli occhi assenti; forse lo abbracciava, come si abbraccia un figlio, perché la mano almeno ora deponesse la pistola. L’ultimo colpo, nella cittadina addormentata. Misericordia per quei poveri morti, e per quel disgraziato assassino. E anche per noi, e per le nostre città. Dove viviamo vicini, ma sempre più, nell’ombra lunga della pandemia, così lontani.