Questa società più diseguale. Eppure non è un destino
Siamo abituati a considerare le disuguaglianze guardando innanzitutto alle dimensioni del portafoglio, alle disparità di reddito o di patrimonio, a scandalizzarci giustamente per quell’1% di super-ricchi che hanno in tasca tanto quanto il restante 99% della popolazione mondiale. Ma è la punta dell’iceberg. O, se vogliamo, è solo la fine della storia: perché la disuguaglianza nasce prima, molto prima. Nasce prima ancora di andare a scuola, e cresce nelle opportunità che sfuggono, come una margherita che perde uno dopo l’altro i suoi petali. Si consolida poi nella difficoltà a trovare un lavoro stabile, si agita dentro un ascensore sociale bloccato e diventa drammatica quando uccide la speranza di riuscire a costruire una famiglia, un progetto di vita, quando impedisce di immaginare il futuro e si trasforma in autentica «violenza sociale», come l’ha definita la terapeuta triestina di origine argentine Silvia Amati Sas.
È proprio questa ineguaglianza carsica e multidimensionale – lo è del resto, in modo speculare, anche il benessere – a venire fotografata dal primo rapporto sul tema curato da Fondazione Cariplo “Crescere in Italia, oltre le disuguaglianze”. Un lavoro che risale il fiume e si sofferma sulla sorgente delle disparità, dove rischia di rimanere intrappolata la capacità che ciascuno ha di fare le cose alle quali, per un motivo o per un altro, assegna un valore: è cioè la diseguaglianza di possibilità nei percorsi di apprendimento e costruzione della persona, prima che in busta paga o sul conto in banca, che soffoca sul nascere la nostra libertà sostanziale, nell’accezione di Amartya Sen.
Ebbene, oggi, in Italia, nel 2023 le disuguaglianze educative valutate in termini di conoscenze e competenze a 7 anni sono più evidenti fra i maschi, gli stranieri, gli studenti che provengono da contesti economico-culturali svantaggiati, in particolare residenti al Sud, e fra quelli che non hanno frequentato la scuola d’infanzia e l’asilo nido. Il guaio è che in terza media la situazione non è cambiata e non cambierà: chi è rimasto indietro, da lì in avanti, difficilmente sarà in grado di recuperare. Il percorso di educazione obbligatoria non è dunque più in grado di colmare il divario. Ed è proprio in questa mancanza di prospettive di vita che si inizia a perdere il potenziale umano di tanti ragazzi, di tanti lavoratori, di tanti cittadini di domani. Una «ferita per la singola persona e per tutta la comunità – si legge del Rapporto – e un ostacolo allo sviluppo». Esattamente a questa ferita e alle possibilità di sanarla invitano a guardare i vescovi italiani nel loro Messaggio per la Festa dei Lavoratori («Giovani e lavoro per nutrire la speranza»).
Se un quarto della popolazione giovanile nel nostro Paese non trova lavoro, una crisi epocale oltre che uno scandalo, scrivono i vescovi, «vorremmo che le comunità cristiane fossero sempre più luoghi di incontro e di ascolto, soprattutto dei giovani e delle loro aspirazioni, dei loro sogni, come anche delle difficoltà che essi si trovano ad affrontare». Ci sono delle esperienze che possono aiutare in tal senso a trovare percorsi condivisi e plurali. Dal lavoro di ricucitura sociale che da alcuni anni hanno iniziato a operare le Fondazioni di Comunità al radicamento territoriale della cooperazione, dalla biodiversità nel sistema formativo alla carica sanamente sovversiva di Economy of Francesco, movimento nato e cresciuto come intreccio di storie, da luoghi diversi, e visioni convergenti di giovani economisti, imprenditori sociali e changemaker chiamati dal Papa per raccontare e raccontarsi, dimostrandolo, come sia possibile concepire e realizzare uno sviluppo umano integrale. Un altro esempio di quello che Francesco intende quando dice di attivare processi e non occupare spazi. Abbiamo proprio bisogno di immaginare alleanze ancora inedite fra l’economia, la finanza, la politica e la cultura – è questo anche il cuore del Messaggio dei vescovi – per costruire reti di accompagnamento adeguate, fin dall’infanzia. Ecco perché ci si deve finalmente decidere a «scommettere sulla capacità di futuro dei giovani», sul loro coraggio di contrastare in modo nuovo, audace e “dal basso” le disuguaglianze di opportunità.