Epifania, Oriente e Occidente. L'impensabile sintesi
L’Oriente non è più quello di una volta, ma nemmeno l’Occidente se la passa tanto bene. Le ombre inquietanti della divisione e della collera, dell’invidia e della separazione - per ragioni essenzialmente materiali di beni e di dominio – li rendono molto simili. L’Epifania cristiana del Figlio è celebrata come un mistero di luce che viene dall’Oriente. Quale luce? Il suo Natale illumina tradizionalmente l’Occidente, animando di futuro l’orizzonte della generazione. Quale futuro?
Il cristianesimo dell’incarnazione di Dio – l’unico per tutti i punti cardinali – ha messo a dimora un punto di sintesi che non solo non esisteva, ma era anche impensabile. Dio ha messo su casa in un piccolo lembo sporgente dell’Oriente, con destinazione verso l’Occidente. Raccoglieva lo spirito di attese e promesse accese da un passato immemorabile, sulla via del sole. La casa, si fa per dire, fu messa su con mezzi di fortuna. Infatti non doveva rimanere semplicemente lì, Dio.
La stella che viene da Oriente ha esaurito il suo compito: ora è il Figlio, lui stesso, la luce da seguire. La casa della nascita era per diventare come noi, muoversi con noi, rendersi visibile e amabile nel passaggio delle generazioni e nella dislocazione degli insediamenti. Così che, dove abitano umani, il Dio della loro creazione e della loro fratellanza potesse essere incontrato e riconosciuto nell’irrevocabile umanità del Figlio in cui tutti siamo amati e destinati: per un’esistenza che si forma nel grembo stesso di Dio.
La nuova Europa – non quella del mito, quella dell’umanesimo – nacque così. Mille volte fraintesa, mille volte tradita, persino da coloro che ne dovevano ispirare la religione e la filosofia migliore, essa ricevette di qui la sua vocazione migliore. Transitare la generazione del Figlio da Oriente a Occidente, dal passato al futuro, incessantemente arricchendola d’oro, di incenso, di mirra, e di ogni bellezza. Non nacque certo, neppur essa, la casa Europa, per diventare una dimora permanente: e trasformarsi nella città di Dio sulla terra. Se peccò per questa presunzione (e Dio sa che lo fece, e anche noi, ora), non prolunghi il suo errore e si converta seriamente. Ma se ora è tentata di peccare per omissione, e ignavia e indifferenza all’avvento di Dio, pensando a rinchiudersi nell’improbabile rendita (e ora sappiamo anche questo) del suo materiale benessere e della sua ottusa cura di sé, è tempo che si converta risolutamente anche da questo.
Un bel giorno dovrà rimettersi nella sua testolina dura questa idea: la sua capacità di trarre dall’incarnazione di Dio doni per l’Oriente e per l’Occidente fu la stella della sua nascita, il genio delle sue imprese e delle sue felicità migliori. Proprio quelle che, in ogni tempo e in ogni luogo, ci rendono orgogliosi di essere umani. Dalle altre, di qualunque segno, possiamo congedarci fin d’ora risolutamente. Siamo stremati dal tignoso calcolo delle responsabilità, che non muove una foglia e ci lascia come Giobbe fra i cocci di tutto.
L’Europa ha da imparare, guardando alla piccola dimora della Luce sulla quale, una volta per tutte, si è fermata la stella di Dio. Il segreto della sua uscita dall’oscurità e dal declino si illumina proprio in quel punto. Il suo destino è affine a quello della capanna accogliente di Betlemme: credeva di ospitare una famiglia in difficoltà, accese il puntoluce cruciale di tutta la storia degli esseri viventi. I credenti non dovranno temere di riscaldare con la loro fede autentica, e rinnovando essi stessi l’amore della loro prima ora, l’indifferenza che la cultura dominante ci assegna come un compito. Basta. Deve passare la nottata. Non dire niente a Erode, non perdere tempo con i suoi esperti di immagine e con i suoi giochi di palazzo. Segui la stella dei Magi. Usciranno dall’oscurità a migliaia, commossi finalmente - dalla scia luminosa di Dio, che rimette in moto l’alleanza dei figli d’uomo, da Oriente a Occidente.