Opinioni

L’importanza della De.Co. (denominazione comunale). Elogio dei Comuni d’Italia e dei loro piatti identitari

Paolo Massobrio sabato 10 agosto 2013
La provola e la ricotta infornata sono due specialità di Basicò, nell’entroterra messinese. E il 19 agosto si celebra la sagra dedicata a questi prodotti identitari, mentre il giorno prima, a Montalbano Elicona, dove si venera la Madonna della Provvidenza, si tiene una storica (e clamorosa) sfilata in costume che ricorda le vicissitudini medievali di questo borgo dominato da un bellissimo castello. Santina, benché giovane, vi partecipa come figurante, mentre la zia, ogni anno, cuce costumi nuovi che debutteranno in piazza. Siamo in Sicilia in questo caso, ma quanti altri luoghi del nostro Paese esprimono la propria identità con una festa, che ancora viene pensata, preparata e molto spesso autofinanziata? L’Italia è innanzitutto un Paese fondato sui Comuni e questa, a ben pensarci, è un’altra unicità del nostro Paese. Se poi aggiungiamo che ogni città e cittadina ha un piatto identitario, un prodotto la cui tecnica di coltivazione si tramanda da generazioni, non possiamo che sorprenderci. Eppure c’è sempre un "ma" o un "però" di troppo, che escono dalla pancia di quest’Italia che ha davvero tanto, salvo continuare a chiedersi come fare per valorizzarlo.Alcuni Comuni, per evitare di disperdere la memoria di questi fenomeni aggregativi e anche produttivi, hanno adottato la De.Co. (denominazione comunale). Una semplice delibera che non tutela nulla, non è un marchio, ma appare come un flatus vocis di un possibile marketing territoriale. Lo ha fatto il Comune di Valpelline, ad esempio, ricordando a tutti che un piatto diffuso in tutta la Valle d’Aosta, come la seupa a la valpellinentze, proviene da lì, dove ci sono infatti le grotte di stagionatura della Fontina. Ed esempi simili potrebbero essere quasi un migliaio, oggi, fino alle fiere storiche o ai saperi dell’artigianato. Eppure, nonostante l’innocenza di quella delibera che è solo un atto politico in favore dell’identità di una comunità, c’è chi osteggia apertamente le denominazioni comunali, imbastendo battaglie inutili in nome di un’Europa (e dell’ideologia dei marchi) che vorrebbe omologare tutto, anche l’unicità dell’Italia.Pare che la Regione Veneto, intelligentemente, voglia mettere fine alle sterili polemiche (sono sterili perché i prodotti identitari – delibera o non delibera – non si potranno mai sopprimere) con una legge regionale sulle denominazioni comunali che finalmente dica una parola chiara. Ma anche il Governo dovrebbe fare altrettanto, dimostrando che non vi è conflitto con i marchi comunitari (Dop e Igp), essendo la De.Co. solo una semplice presa d’atto di ciò che già esiste. Sarebbe un passo in avanti per evitare polemiche, convegni e ricerca di facili applausi che però spesso evitano un confronto serio. In mancanza di una simile opportuna iniziativa, che il ministro Nunzia Di Gerolamo dovrebbe considerare, potrebbero supplire le Regioni: dopo il Veneto, il Piemonte. E perché no la Lombardia o la Sicilia? Tanto per seguire strade sempre un po’ più tortuose, quando sarebbe tutto più semplice. Ma bisogna conoscere un segreto per realizzare ciò che sembra ovvio: basta sapersi parlare.