Analisi. La doppietta in Emilia e Umbria e il futuro del Pd: come e con chi va avanti?
Elly Schlein al voto in Emilia
In un gioco di cerchi concentrici che parte da una situazione mondiale segnata dalla catastrofe delle guerre, dell’ambiente impazzito, da una democrazia messa a dura prova nel fortino americano che dal secondo dopoguerra ha garantito la pace nell’Occidente e ora assiste allo sconcertante risiko di nomi che Donald Trump ed Elon Musk spostano con disinvoltura sul loro scacchiere, passa per un’Europa che non decolla e arriva in un’Italia segnata da un clima di tensione che si sperava archiviato, i risultati delle elezioni regionali di Emilia Romagna e Umbria appaiono come un puntino.
Apparentemente di poco rilievo.
Se non altro perché arrivano ultime nel corso dell’anno dopo una serie di amministrative, comunali, europee... E questo è il problema di un Paese in perenne campagna elettorale (nel 2025 ci aspettano altre sei amministrazioni regionali da rinnovare e il referendum). E però ogni appuntamento con le urne ha una sua importanza, proprio perché la democrazia resta la forma più alta di espressione della volontà popolare.
Per questo, come sempre, il triste dato dell’astensione in crescita che non si riesce a frenare – neppure con la scelta di candidati pescati dalla società civile – rappresenta una fetta importante di quella volontà, che nel corso degli anni sta prendendo forma, ed è passata da una spia di disinteresse a una percentuale di sfiducia quando non di protesta.
E, sempre in un esercizio di democrazia, le elezioni amministrative servono a partiti e coalizioni per pesarsi. Non tanto a Giorgia Meloni, ancora saldamente in sella, con l’alto gradimento a due anni dalla conquista di Palazzo Chigi, indiscussa leader della sua coalizione e capace – al momento opportuno – di sopire i bollenti spiriti di Matteo Salvini e Antonio Tajani (in continuo derby per spuntare il secondo posto nella coalizione).
La premier non ha velleità di fare il pieno di voti nella rossa Emilia, piuttosto è interessata a mantenere alto il rapporto tra le Regioni guidate dal centrodestra rispetto a quelle in mano agli avversari. Imbrigliata in questioni più grandi al G20, la leader di FdI ha mostrato ancora una volta con pragmatismo la capacità di mettere insieme in una somma algebrica partiti e partitini – imbarcando pure lo “scomodo” Bandecchi – nel tentativo di fare il bis come le era riuscito in Liguria, per una manciata di voti.
Esattamente quello che era mancato alla sua antagonista Elly Schlein, piegata dai diktat di Giuseppe Conte e costretta a rinunciare ai voti decisivi di Matteo Renzi, che avrebbero premiato il dem Andrea Orlando. Ieri però la segretaria del Pd si è goduta la festa. Fallito il 3 a 0, dopo la vittoria di Bucci in terra ligure, è arrivato il momento atteso della rivincita con la doppietta per nulla scontata grazie alla conquista dell’Umbria con Stefania Proietti. Schlein esulta per essere riuscita a domare un partito avvezzo a divorare i suoi leader, riportandolo a percentuali dimenticate. Un risultato, ha commentato la leader dem, frutto dell’unità dei suoi, rappresentata sul palco dalla presenza di quello Stefano Bonaccini con cui si era contesa la poltrona del Nazareno.
I numeri le danno ragione in maniera netta. Ma la segretaria del Pd preferisce non infierire sugli altri partiti della coalizione, che pure ha staccato con ampio margine nelle urne. Anche se ormai nessuno parla più di campi larghi e ognuno gioca la propria partita (quella di Conte si definirà questo fine settimana con l’Assemblea costituente del M5s), la leader che nessuno aveva visto arrivare ringrazia anche gli alleati. Consapevole che questa squadra difficilmente giocherà ancora insieme in questi termini le prossime partite. E allora il tempo a lungo rinviato di un’analisi interna sembra essere maturo. Per capire come andare avanti e soprattutto con chi. Per decidere se attendere ancora la nascita di una forza di centro o se valorizzare l’area moderata di casa dem.