Opinioni

L'analisi. Le tre lezioni dal voto in Abruzzo

Eugenio Fatigante lunedì 11 febbraio 2019

Lo "schiaffo" d’Abruzzo ha evidenziato tre fenomeni.

Il primo è la batosta (inutile girarci intorno) subita dal Movimento 5 stelle: potrebbe anche essere l’inizio di un’inversione di tendenza irreversibile, ma questo solo il tempo lo dirà.

Il secondo, al di là del clamoroso successo della Lega (che stavolta ha confermato i sondaggi in circolo), è l’esistenza comunque di un’ampia area di centrodestra, che nella regione andata alle urne vale un 20% aggiuntivo ai voti leghisti, un’area trainata più dall’"astro" di Fratelli d’Italia che da una Forza Italia in difficoltà.

L’ultimo, infine, è rappresentato dai segnali di ripresa del centrosinistra come insieme, specie quando riesce a coalizzarsi attorno a una figura credibile e "spendibile" come Legnini in Abruzzo (che ha preso 12mila voti in più delle 8 liste che l’appoggiavano).

In attesa del prossimo test - quello sardo -, l’interesse generale è per le ricadute sul piano nazionale. Il capo leghista Matteo Salvini e il premier Giuseppe Conte hanno subito precisato che «nulla cambia per il governo». D’altronde, almeno finché il campo del centrodestra sarà "occupato" anche da Silvio Berlusconi, non è detto che Salvini abbia un interesse preminente a scompaginare le carte.

Anche perché non c’è la certezza che una crisi porti a elezioni anticipate. In questi 11 mesi dalle politiche del 4 marzo la Lega, il cui consenso è salito di 60mila voti in termini assoluti rispetto al 2018, ha avuto l’abilità di acquisire una centralità unica: libera dalle pastoie del centrodestra classico e "non contaminata" dalle riserve che molti italiani hanno verso il reddito di cittadinanza, individuato come misura-bandiera dei soli 5 stelle.

L’interesse è ad andare avanti nella compagine giallo-verde. Va detto, tuttavia, che nei prossimi mesi potrebbero essere fattori legati all’economia a indurre a una svolta: il periodo gennaio-marzo sarà molto probabilmente il terzo trimestre col segno meno e rafforzerà la nuova recessione. Rendendo ancor più impervia la manovra 2020, che già parte da un importo di 23 miliardi, se si vorranno evitare gli aumenti Iva.

Difficoltà che, al limite, il capo della Lega potrebbe addebitare - se si scivolasse verso un piano di rottura - all’iniziativa pentastellata, anteposta alla "sacrificata" flat tax. La più grande svolta a destra delle amministrative degli ultimi anni è un fatto con cui tutti dovranno confrontarsi. A partire da M5s, che si ritrova a pagar dazio all’abbraccio con la Lega: non sottrae più consensi, ma diversi suoi elettori hanno virato verso destra. Il Movimento potrebbe aver toccato, un anno fa, un apice irripetibile. Pur valutando che è penalizzato tradizionalmente alle amministrative (a parte alcune città dove ha vinto negli anni scorsi, specie grazie al ballottaggio), colpisce che - oltre al tracollo dal 2018 - sia arretrato anche rispetto a 4 anni fa.

L’azione di governo, insomma, non ha portato consensi. E questo può far pensare che il ruolo proprio di una forza anti-sistema come 5s sia quello all’opposizione. Va peraltro annotato che un’altra erosione di voti è possibile quando diversi italiani scopriranno di non aver diritto al Reddito: vedremo quanto sarà compensata da eventuali voti "anti-Ue" alle Europee. Il centrosinistra, infine. Il modello Legnini indica una potenziale prospettiva. Non è chiaro quanto replicabile a livello nazionale. Perché la tendenza al calo della maggior forza - il Pd, 40mila voti assoluti meno del 2018, significativi anche vista l’affluenza bassa - non aiuta a comporre un’alleanza organica.