Il direttore risponde. Educare alla legalità, con tenacia
Angelo Simonazzi, Poviglio (Re)
Sono in tanti a battersi contro le mafie, caro avvocato Simonazzi. Forse non sono esattamente definibili un "movimento", ma sono una realtà vasta, bella e preziosa. Le cosche s’industriano a mettere radici ovunque, a imporre le loro logiche rivoltanti alternando toni e metodi suadenti, brutalità e autentica ferocia, è vero. Ma è anche vero che cresce, e si radica, anche tutt’altra e pulita consapevolezza. Non dobbiamo perciò stancarci di ripetere che la "cultura della legalità" non ha e non può avere una dimensione sola, quella del contrasto – per così dire – "militare" al crimine. È indispensabile una grande opera educativa e di mobilitazione "civile". Ognuno di noi, come lei suggerisce, deve fare la propria parte per vivere la "legalità" in prima persona, per testimoniarla e spiegarla ai più giovani: la legge è presidio contro la violenza dei prepotenti e dei malintenzionati, senza la legge o fuori da essa c’è solo il tragico dominio del più forte e del più spietato. La Chiesa italiana, incoraggiata di nuovo anche dalla forte e paterna predicazione del Papa nella visita pastorale a Palermo del 3 ottobre dello scorso anno, fa la sua parte con dedizione ed evangelico coraggio (e le nostre cronache di questi giorni registrano ancora una volta con preoccupazione e speranza quanto dura e decisiva sia la "fatica" del bene e del giusto in terre a forte presa mafiosa come la generosa e piagata Calabria). Noi, facendo il nostro mestiere, ci sforziamo di essere specchio fedele dell’Italia vera, con le sue ferite aperte e le sue straordinarie risorse umane. E cerchiamo, come sappiamo e possiamo, di dare merito e coraggio a chi, oggi, adesso, questo nostro Paese continua a cambiarlo in meglio.Marco Tarquinio