La celebrazione dell'Assunta. Mobilitiamo la speranza per non rimpicciolire il nostro cielo
Mariano Crociatadomenica 15 agosto 2010
Quale significato ha l’odierna festa mariana, posta quasi come spartiacque nel cuore dell’estate? Che cosa significa celebrare l’Assunta per noi ferragostani, gelosi difensori di un senso tanto acuto quanto ambiguo della nostra personale singolarità? Se, in positivo, tale percezione vede accresciuti, infatti, il riconoscimento e la promozione della dignità e della libertà di ciascuno, all’opposto è ferita da un individualismo che ci isola, ci divide ed esasperai conflitti.In un tempo di esaltazione dell’autonomia e della libertà individuale, impera sottovalutato un pensiero unico, pervasivamente diffuso dalla cultura della comunicazione nel suo intreccio con le esigenze del mercato e del consumo. A uscirne umiliata non è soltanto la corporeità, ma anche l’interiorità della persona. Questa deriva è riconoscibile nello spreco di vita, di tempo, di risorse e di possibilità, che si verifica quando ci si chiude nel circolo vizioso della smania di evasione, di piacere, di divertimento a tutti i costi, noncuranti dei drammi che si consumano dietro l’angolo, se non addirittura che si arrecano. Analogamente avviene quando, nella gestione della cosa pubblica, la lotta a difesa di interessi personali o di gruppo si trasforma in uno scontro di veti incrociati, che paralizzano la ricerca del bene comune; o quando, nell’esercizio di una responsabilità o nell’espletamento di un compito all’interno di un’organizzazione sociale, il sottrarsi al proprio dovere vanifica prestazioni e servizi attesi e sperati. Sono, questi, solo alcuni casi tipici di un andazzo che rimpicciolisce il nostro cielo, rendendo irrespirabile la convivenza. Diventa allora comodo scaricare responsabilità e colpe sugli altri, o illudersi che basti una sterile elaborazione di formule, in realtà raramente idonee ad affrontare e risolvere i problemi.Come uscire da tale situazione? Bisognerebbe innanzitutto intendere l’indole spirituale del malessere che ci affligge: siamo poveri di idealità, di pensiero, di orizzonti, di speranza. Non bastano tecniche e programmi, peraltro necessari; ci vogliono persone rinnovate, come ci ricorda Benedetto XVI: «Lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l’appello del bene comune».Proprio Maria, associata in modo unico e singolare alla vittoria del suo Figlio sul male e sulla morte, è la prima cellula di una nuova umanità. Infatti, non ci indica solo la meta del nostro andare, ma anche la via da seguire per raggiungerla. Il Magnificat è il canto di coloro che sanno vivere il primato della lode e della riconoscenza, e abbracciare il senso positivo della dignità di ogni singola persona umana, per interpellarla direttamente nella sua coscienza e innescare un movimento di redenzione dal disagio che ammorba la vita di tutti.Solo un simile sguardo ci fa crescere, propiziando una mobilitazione interiore della persona e il superamento di ogni forma di isolamento, così da riconoscersi nella rete di solidarietà umana in cui siamo costituiti per nascita e destino. Si tratta di ripartire da coscienze e interiorità nutrite di relazioni significative per far sorgere rinnovate aggregazioni sociali. Dobbiamo imparare a scrutare ciò che avviene nel tessuto molecolare di una società che custodisce riserve e fermenti di comunione, e spesso sente il bisogno di proteggersi dal chiasso superficiale e dalla dispersione caratteristica della spettacolarizzazione di massa. In quei fermenti troviamo, insieme a un segno di speranza, l’invito a coltivare l’arte di rientrare in se stessi e scoprire inedite possibilità di incontro e di alleanza per trasformare dal di dentro una società che appare a volte insensata.