Tra gli effetti positivi della manovra vi è quello di aver sdoganato retroattivamente gli accordi aziendali di uno dei più importanti gruppi italiani, dando valenza giuridica retroattiva e non solo pattizia, al criterio dell’
erga omnes. Quel che lascia un po’ perplessi, tuttavia, è che si sia proseguito in un ambito non espressamente richiesto da tutti. L’intervento del governo – contenuto nell’articolo 8 della manovra di Ferragosto che prevede la possibilità di derogare da contratti e leggi, Statuto dei lavoratori compreso – è ovviamente legittimo, però… I casi sono due: o si rispetta l’autonomia delle parti sociali, oppure si va fino in fondo con la legge. Sembra si sia rimasti, invece, a metà strada, a scapito della chiarezza e urtandosi con alcune componenti del sindacato. Si rischia, ora, che i fronti negoziali possano tornare a spaccarsi su questioni di principio, invece che affrontare con determinazione quelle di merito. Oltretutto, rendendo assai difficili proprio quegli accordi modificativi già contemplati dall’accordo del 28 giugno, che ora il governo vorrebbe generalizzare per legge. Ammettiamo, per esempio, che ci siano le condizioni per affrontare il tema più controverso, quello "delle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro", ovviamente attraverso un accordo sindacale. In teoria, ciò potrebbe aprire la strada a modelli innovativi di
flexicurity, da implementare anche via contratto nazionale. A tutto beneficio dei giovani da reclutare nelle imprese sopra i 15 dipendenti e, quindi, avviando un percorso di vero contrasto alla precarietà. Tuttavia, chi ha esperienza di negoziazione sa bene che tale ipotesi potrebbe realizzarsi solo con l’accordo costruttivo di tutti i sindacati più rappresentativi. Tra cui la Cgil. La quale, per come si sono messe le cose, potrebbe trovarsi in difficoltà ad affrontare il discorso con il necessario pragmatismo. Tutto per un sorpasso inaspettato, che ha il merito di guardare avanti, ma non quello di rispettare l’autonomia delle parti. C’è un ambito di confronto e di definizione, infatti, che dovrebbe rimanere competenza prioritaria della società civile, nel rispetto di quel principio di sussidiarietà che è la base, tra l’altro, del criterio di prossimità, tanto caro anche al ministro Sacconi. Il sorpasso in questione – tra l’altro, tutto da approfondire dal punto di vista tecnico – è tanto più incomprensibile nel momento in cui si è faticosamente tornati all’unitarietà dimostrata con l’importante accordo siglato il 28 giugno. Un osservatore esterno potrebbe sospettare che la questione stia proprio qui. Il governo e i partiti politici, con scandali che sono tornati ad affiorare a destra e a manca, hanno subìto la pressione progettuale esercitata dai corpi intermedi. Quasi fosse l’avvio di una supplenza. L’esecutivo ha accettato ripetuti incontri, come a concordare obbiettivi e a ricercare un consenso preventivo. A distanza di qualche giorno, ecco uscire il coniglio dal cappello, facendo quasi riecheggiare il vecchio
divide et impera. Tuttavia, il mantenere tutti i principali attori attorno a un tavolo, in momenti come questi, è un aspetto importante. Proprio per rendere possibili gli sviluppi più innovativi. Mi auguro, quindi, che non si torni a disperdere le forze, l’un contro l’altro armati. La crisi, purtroppo, non è stata ancora sconfitta e le parti sociali possono giocare ancora un ruolo decisivo.