Mentre gli aerei e le navi della coalizione internazionale avviavano l’azione contro le forze armate del colonnello Gheddafi, su questa prima pagina – elencando «Incognite e doveri» dell’escalation bellica che aveva avuto inizio su mandato dell’Onu – Luigi Geninazzi richiamava con forza la motivazione umanitaria e le conseguenti regole d’ingaggio di un rischioso eppure, a quel punto, inevitabile intervento militare. L’obiettivo primario e – per la nostra visione – essenziale della forza aeronavale schieratasi sul mare e nei cieli della Libia era ed è di porre fine alla guerra scatenata dal rais di Tripoli contro gran parte del suo stesso popolo, limitando al massimo le sofferenze dei libici e dei tanti lavoratori stranieri residenti in quel Paese. Ieri il comando Nato, che aveva da poche ore assunto il controllo delle operazioni militari, ha preso due decisioni assai importanti: non rifornirà di armi i ribelli anti-Gheddafi e indagherà sulla morte di alcune decine di civili, che sarebbe stata provocata dal bombardamento di un’abitazione e che il vicario apostolico di Tripoli, monsignor Martinelli, aveva reso nota con doverosa prontezza, giusta cautela e immenso dolore. Queste decisioni inducono ad altrettante riflessioni. La prima è che l’embargo sulle armi decretato contro il regime di Gheddafi non poteva che specchiarsi in un’identica misura nei confronti dei suoi avversari. Il compito assegnato dall’Onu alla coalizione internazionale scesa in campo è, infatti, di fermare una guerra civile, non di alimentarla. L’azione delle truppe ora finalmente a guida Nato (e non più, di fatto, francese) non è certamente “neutrale”, ma è e sarà giusta solo se resta orientata ad agevolare l’apertura di una fase negoziale tra le parti in lotta e la fine del regime dittatoriale che da oltre quarant’anni vige in Libia.La seconda riflessione riguarda la denuncia – giunta non da sospetti portavoce di regime, ma da fonti serene e indipendenti – di un possibile e drammatico «danno collaterale» quantificabile in almeno 40 vittime totalmente innocenti di bombe o missili. Comunque sia, si tratta di “memento” terribile e potente. La missione militare internazionale anti-Gheddafi è, come abbiamo avvertito sin dal primo giorno, una missione di guerra. Produce comunque dolore e distruzione e se non difende il “bene” per cui è stata autorizzata e avviata – l’incolumità della popolazione inerme e la sua libertà dalla paura e dalla costrizione – si dimostra insensata e ingiusta. Perché si rivela incontestabilmente condotta secondo finalità diverse da quelle del mandato Onu (un edificio civile di Tripoli non è un aereo del rais e non “minaccia” i cittadini di Bengasi o di Sirte) e si converte nel suo contrario. Diventa, cioè, aggressione. Il comando Nato fa benissimo a indagare con urgenza, le autorità politiche che “comandano” il comando Nato si preparino a trarne le conseguenze e a renderne conto alle pubbliche opinioni. Interrogativi, preoccupazioni e giudizi già incalzano.