Federica Iacono aveva 15 anni. Era una ragazza allegra e solare: è morta a Napoli senza che, stavolta, c’entri qualcosa la «città-violenta». Ha messo un piede in fallo mentre scendeva alla fermata dell’autobus; è scivolata, la gamba è rimasta impigliata, insieme allo zainetto che portava in spalla, tra le portiere in chiusura. Il mezzo ha ripreso la corsa, senza che l’autista riuscisse ad accorgersi di nulla. Neppure ai soccorsi, una volta tanto, è possibile addossare colpe: sono arrivati in fretta e, ancora prima, l’autista di un altro bus di linea non ha risparmiato esperienza e generosità per aiutare la ragazza che, sei ore dopo, in ospedale, ha cessato di vivere.Federica è stata vittima, potremmo dire, di un colpo di sfortuna. Eppure, liquidare questa storia così, serve a renderla soltanto più amara. È difficile rassegnarsi di fronte a 15 anni inciampati nella morte. E se questo accade a Napoli, ecco che la città, pur tenendo da parte il capitolo-violenza, riprende il suo ruolo; si pone da sfondo a una realtà che sfida l’ordinario, e continua a mostrare, da ogni lato, i suoi toni sempre fuori registro. La morte di Federica è la drammatica conferma che a Napoli la normalità è una categoria inesistente; e che, forse, è proprio questo il suo limite più grande o, per altri versi, la sua colpa più evidente.Qui il bene e il male, e gli eventi che ne derivano, si misurano, alla fine, sul metro degli eccessi, tanto che la città, non di rado, appare come l’enfasi di se stessa. Napoli arriva a scorgersi, come presenza quasi implacabile, anche dietro a fatti di cronaca che potrebbero normalmente essere collocati altrove. Ma Napoli è come un punto esclamativo che alla fine, più di ogni discorso, illustra la grammatica delle cose.Nella dinamica dell’assurda morte di Federica, l’attenzione si è rivolta verso un dispositivo di sicurezza – un antibloccaggio alle porte – che al bus mancava e che invece è disponibile sui nuovi modelli: una beffa ancora più atroce, ma che, rapportata alla realtà di Napoli, porta alla mente l’iniquità di dover considerare, rispetto al resto, solo una piccola e irrilevante carenza, quel minuscolo congegno che poteva però salvare una vita.Mettendo una volta da parte il resto – quella lunga sequenza che pone in fila, come una cantilena, i mali vecchi e nuovi della città – è difficile non pensare ai (cattivi) segni di una quotidianità ormai alterata; scossa, forse in misura irreparabile, dal peso corrente di drammi e tragedie che, anche quando non agiscono in maniera diretta, riescono sempre a lasciare una loro inconfondibile traccia. Accade così che a Napoli i giorni portino, senza mai riuscire a nasconderle, le ferite di anni; e sono esse a erodere, in un inavvertibile e malizioso silenzio, anche i congegni ordinari chiamati a sorreggere la fatica della quotidianità.Può accadere dappertutto che si trasformi in disgrazia anche una discesa dal bus; o che, com’è avvenuto ancora ieri nel quartiere di Poggioreale, un giovane resti schiacciato dal crollo di un cancello: ma anche la banalità del male, a Napoli, conserva un suo marchio riconoscibile. S’intravvede come una sequenza, una trama che rischia ancora di estendersi perché tenuta in vita dalla deriva costante che ammassa a un punto comune di confluenza, problemi antichi e nuovi, e – soprattutto – deforma in tragedia ciò che altrove potrebbe semplicemente chiamarsi negligenza. Il vero indice dell’emergenza di Napoli è, forse, proprio in questo scarto, rimasto ormai totalmente privo di margini. Occorre rendersi conto – e le istituzioni sono le prime ad essere chiamate in causa – che ritardi e inadempienze, nella realtà di Napoli, sono tutt’altro che «mali minori»: è dal fronte sguarnito del bene comune che la stessa malavita organizzata trova spalancate le sue strade. Di qui viene anche quel malessere che fa sentire estranea perfino la speranza dagli orizzonti chiusi della città. È così che l’altro nome di Napoli diventa Emergenza. La città deve poter tornare a vivere senza l’assillo delle sirene d’allarme che la scuotono a ogni passo, e che, allo stesso tempo, segnalano a tutto Il Paese, che Napoli continua a essere un «capitolo a parte». Vanno rimessi in funzione, prima di tutto, proprio i «congegni» ora usurati di una quotidianità che è qualcosa in più del «tirare a campare».La vita di Federica è rimasta impigliata proprio in questo infernale congegno.