Che cosa lega l’uomo alle stelle? Che cosa spinge a sollevare lo sguardo, a rimanere incantati? Dei tanti spettacoli naturali che attirano il cuore e gli occhi degli uomini le stelle, la loro profusione e il loro movimento hanno da sempre meritato una speciale attenzione degli umani. Segni su grandi pareti di montagne, disegni il cui senso è smarrito, successive mappe perfezionate nei secoli. E una festa di nomi, timorosi e bizzarri, fantasiosi e devoti, per indicare costellazioni, figure, moti. Il cielo sovrasta inevitabilmente gli uomini. Le stelle, per quanto ormai alcune avventure ci abbiamo portato a vagar tra loro, continuano a essere distanti, misteriose. A essere l’altro da noi. E l’io di un uomo non prende coscienza di se stesso senza avere tale smisurata, drammatica e felice coscienza di una alterità infinita che lo riguarda.Siamo sempre un io che cerca un tu. Ci innamoriamo – da ragazzi ma anche da vecchi – per questo motivo: l’io da solo non basta, sentiamo la promessa di un compimento che dipende dal rapporto con qualcosa, con qualcun altro. E le stelle da sempre nella storia umana sono il baluginare di questa alterità. Sono l’altro, l’altrove che ci manda segnali. Per questo le stelle hanno sempre mostrato agli uomini quale atteggiamento tale alterità assoluta tiene nei nostri confronti: cadono piangendo, come nel caso del dolore della morte del padre di Pascoli, o stanno mute, insensibili, a guardare come vanno le cose quaggiù nel famoso romanzo di Cronin, così come in tanta poesia. Ungaretti gridò a un cielo australe il dolore per la perdita del piccolo figlio, quella festa d’astri divenne bellezza da scansare con le braccia tese. Per Dante invece furono le stelle a fare da corona, da movimento, da musica al suo viaggio dopo il lutto d’aver perso Beatrice, per rivedere lei.Non saremmo noi stessi senza questo strano legame con le stelle, con l’infinito di cui sono prima, semplice e stupefatta manifestazione. Se un uomo non guarda le stelle, avrà uno sguardo povero anche verso la storia. E verso il quotidiano. Nessuno sa sollevare lo sguardo, si lamentava il salmista. Oggi sappiamo alzare lo sguardo? Lo sappiamo fare non per un rito banale, per una superstizione tiepida, o per una abitudine snervata? Lo sappiamo fare sentendo tutto di noi stessi dipendere, sì, come un bambino, o un amante da qualcosa che è là, che è altro da noi, e che brilla o balugina in quella luce circondata da tenebre? Dipendiamo dalle stelle, come spiegano anche gli scienziati, per molti motivi. Una fortunosa combinazione equilibrata di attrazioni ci fa essere vivi e anche la nostra stessa materia corporale ha legami con quei corpi lontani.Stanotte la dipendenza dalle stelle potrebbe diventare un nuovo antico mormorio. Una specie di supplica, se ancora abbiamo cuore per supplicare, perché la vita sia piena di noi e di altro. Di noi e di Altro. Come se in quell’abbraccio disseminato, vastissimo e misericordioso potessimo posare gli ultimi cinque bimbi uccisi da un crudele attentato in Afghanistan e la malattia dell’amica, le ansie per il lavoro e il profilo di lei che sfugge al nostro amore, la passione infinita per i figli e la segreta gratitudine ai genitori. Una notte per farlo. Per pregare tutti. Anche se lo chiameranno in un altro modo, lo chiameranno esprimere un desiderio. Noi che siamo stati afferrati dal Dio che ama il desiderio degli uomini lo chiameremo pregare.E alle stelle grideremo muti in questo tempo di prova e di grazia, grideremo a Dio di non lasciare soli gli uomini con i loro desideri. Gli chiederemo di essere ancora il Dio degli infiniti movimenti dei cuori e dei misteriosi moti delle stelle.