«La mia libertà finisce dove inizia la vostra». Per appoggiare il provvedimento dell’Agcom a protezione del copyright su internet, c’è chi ha tirato in ballo addirittura Martin Luther King. E il testo approvato ieri dall’Agcom sembra essere stato creato proprio su ispirazione di questa celebre frase. I siti Internet che saranno trovati a violare il diritto d’autore non saranno oscurati e «la procedura dell’Agcom nei loro confronti sarà alternativa e non sostitutiva della via giudiziaria e si bloccherà in caso di ricorso al giudice di una delle parti». In soldoni: siti e blogger dovranno fare più attenzione al copyright, ma le misure nei loro confronti saranno meno dure di quello che si temeva. La questione di fondo, però, non appare completamente risolta. E non solo perché il testo dell’Agcom «viene posto ora ad una consultazione pubblica di 60 giorni». Ciò che agita in queste ore il mondo di Internet a tutti i livelli tocca infatti punti delicati come la libertà di espressione, la tutela del diritto d’autore e il futuro di molte aziende musicali, cinematografiche, televisive ed editoriali. A ben vedere, mette anche in contrapposizione due modi diversi di pensare la rete telematica: come luogo pubblico dove fare affari e confrontarsi secondo regole «classiche» o come spazio libertario e un po’ anarcoide le cui regole devono essere pensate e scritte in modo nuovo, perché l’uso quotidiano comune ha già reso obsolete le «vecchie». Che ci si trovi davanti a una questione spinosa, lo dimostra il fatto che – paradossalmente – tutti i soggetti schierati nei campi contrapposti hanno una loro parte di ragione. Ce l’ha l’industria audiovisiva (ma anche gli autori e gli editori) che vuole tutelare i propri prodotti e che in questi anni è stata pesantemente colpita dalla pirateria e al tempo stesso ce l’ha il mondo dei blogger, il quale teme che una norma simile possa essere usata anche per spegnere tante voci alternative e di dissenso. Un punto sembra essere chiaro a tutti i soggetti: il Web ci ha cambiato così radicalmente e – soprattutto – così velocemente la vita che certe regole di convivenza arrivano in discussione, se non fuori tempo massimo, sicuramente con gravi ritardi. Il che rende la loro definizione più faticosa. Come quando si deve parlare con qualcuno dopo avere fatto una corsa per raggiungerlo. Che esistano su Internet vere centrali illegali che sfruttano illegalmente musica, film, foto e quant’altro è ormai noto a tutti. Ma che le industrie dell’intrattenimento (e non solo loro) debbano cambiare il loro modo di avvicinare il pubblico – abbattendo alcune rigidità e alleggerendosi di alcuni antichi privilegi, a meno di non volere perdere fette ancora più consistenti di mercato nel giro di pochi anni – è una certezza che accomuna molti esperti del Web. Fin qui, per quel che riguarda gli affari. Ma le regole in discussione vanno oltre. Toccano concetti come la libertà di espressione. E qui la vicenda si ingarbuglia. Perché garantire la libertà di tutti in un mondo (quello di Internet) dove ormai foto, video e articoli altrui vengono usati da tanti, senza badare alle regole del copyright, rischia di diventare un’impresa titanica che, alla lunga, può persino ritorcersi contro le industrie che vorrebbero un duro giro di vite sull’illegalità. Sarebbe troppo facile rappresentare questa sfida come una lotta tra buoni e cattivi. La realtà è molto più complessa. E la querelle non può essere risolta chiedendo all’AgCom di diventare (come sembrava essere la prima proposta) una fregata che va alla caccia di tutti i pirati del Web, finendo con il mettere sullo stesso piano i grandi gruppi criminali e i piccoli «ladruncoli» distratti. Quello che occorre è un patto. Un’idea. Un colpo di genio. Un modo per fare pagare poco, pochissimo a tutti, per riuscire finalmente a tutelare chi lo merita. Per farlo, ciascuno è chiamato a compiere un passo avanti: le industrie come gli utenti-blogger. Ne va del futuro comune.